di Serena Vezzani
Cento. “Quattro anni senza Giulio”: quattro lunghi anni da quando, alle 19.41 del 25 gennaio, il giovane ricercatore Giulio Regeni venne visto per l’ultima volta al Cairo, da quando il suo nome si aggiungeva al lungo elenco delle persone torturate a uccise in Egitto. E ancora: quattro anni durante i quali le autorità egiziane si sono ostinate a non rivelare i nomi di chi ha ordinato, di chi ha eseguito, di chi ha coperto e ancora copre il sequestro, la tortura e l’omicidio di Giulio Regeni.
Come tante altre piazze italiane, anche il gruppo Amnesty di Cento ha organizzato una fiaccolata e un presidio ieri, dalle 19 alle 20, in piazza Guercino, per continuare a chiedere giustizia e verità per quello che, “per chi conosce il sistema di violazioni dei diritti umani” dichiara la presidente di Amnesty, sezione centese, Marina Govoni, “ha definito da subito un delitto di Stato”.
Il governo italiano “non ha preteso con sufficiente costanza e fermezza che venisse fatta chiarezza sul caso, e il ripristino dell’ambasciata italiana nel 2017 è stato il segnale di resa, di normalizzazione della relazione tra i due Paesi”.
Ma oggi, come per tutti i passati quattro anni, con lo striscione che ha fatto il giro del mondo Amnesty è ancora qui: “Non ci fermeremo finché la verità non sarà svelata”. Poi il minuto di silenzio allo scoccare delle 19.41, sotto la finestra del Palazzo del Governatore, sulla quale proprio da ormai quattro anni il sindaco Fabrizio Toselli ha scelto di non esporre più lo striscione “Verità per Giulio Regeni”, perché considerato non conforme alla linea dell’amministrazione. Presenti al presidio, però, gli assessori Matteo Fortini, Grazia Borgatti, Antonio Labianco e il vicesindaco Maccaferri, e il consigliere di minoranza Marcella Cariani (Pd).
L’appello dell’associazione si rivolge così direttamente al presidente egiziano, “affinché sia possibile finalmente un’indagine completa e imparziale, affinché siano assicurati alla giustizia i presunti responsabili, attraverso tribunali civili e ordinari, senza ricorrere alla pena di morte”.
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