Cronaca
20 Novembre 2019
Patrizia Moretti chiamata da Maccari a testimoniare: “Spero sia l’ultima volta che ho a che fare con loro”

Aldrovandi. In tribunale rivive il sit-in della discordia

di Redazione | 5 min

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Patrizia Moretti in strada durante il sit-in del Coisp

“Spero sia l’ultima volta che mi costringono a rivivere in pubblico la tragedia di mio figlio”. Con queste parole Patrizia Moretti si congeda dal tribunale di Ferrara, dove è stata chiamata a deporre come testimone per la vicenda del sit-in del Coisp del marzo 2013.

La protesta del sindacato di polizia, si ricorderà, venne interrotta proprio dalla madre di Federico Aldrovandi, che scese in strada mostrando la foto del figlio ucciso, con il sangue che aveva intriso il lenzuolo del lettino dell’obitorio.

Una foto ritenuta falsa da chi ora siede sul banco degli imputati per diffamazione aggravata, Franco Maccari, all’epoca dei fatti segretario generale del Coisp e oggi vicepresidente nazionale del Fsp Polizia.

Dopo il sit-in della discordia, che vide scendere dal municipio l’allora sindaco Tagliani per chiedere ai manifestanti di allontanarsi, dal momento che in Comune lavorava la Moretti, il Coisp tenne poco distante il suo congresso regionale. In quell’occasione Maccari accusò la stampa “vigliacca e penosa che ha pubblicato cose ignobili, compreso il non voler prendere atto che quella foto non è stata ammessa in tribunale perché non veritiera”.

Quella frase gli costò la querela da parte della madre di Federico. Querela che rimise anni dopo, stanca di chi a suo dire si rendeva colpevole di lanciare con le proprie offese “uno sputo sprezzante sul corpo di mio figlio”.

Ma Maccari scelse di proseguire il processo, per dimostrare, dice oggi, “che non ho avuto un comportamento riprovevole”. E all’ultima udienza il sindacalista ha accettato di essere sentito, richiamando davanti al giudice Andrea Migliorelli quel “periodo datato e molto particolare. Da un mese il Coisp teneva iniziative a Ferrara “che nulla avevano a che vedere con il processo Aldrovandi, bensì con la condanna e la detenzione dei poliziotti, cui non fu consentito di ottenere pene alternative al carcere”.

Per trenta giorni in effetti il sindacato di polizia girava la città con un camper, diffondendo un volantino che descriveva il ragazzo ucciso come “un drogofilo, in preda ad una grave crisi di rabbia isterica e per cui si rendeva necessario il contenimento fisico”.

Maccari omette questo dettaglio nella sua ricostruzione e ricorda che, durante il sit-in in piazza Savonarola, “purtroppo sono successi alcuni episodi poco edificanti”.

Il riferimento è al sindaco di Ferrara Tagliani che, “mentre stavano riponendo le bandiere per andarcene, arrivò urlando. Urlava contro tutti. Non si capiva cosa volesse, poi si è ‘appiccicato’ con Potito Salato (l’europarlamentare di Futuro e Libertà scomparso nel 2016, ndr). Ci diceva che ci dovevamo togliere da lì e continuava a inveire contro l’europarlamentare. Solo alla fine ha detto che lì c’era il palazzo comunale e non era opportuno rimanere”.

Poi, “mentre andavamo via è successa una cosa che ci ha lasciati allibiti. Abbiamo visto dispiegarsi una gigantografia della foto del ragazzo, portata a mano da una signora che non avevo riconosciuto sul momento”.

La foto fece il giro dell’Italia, provocando quello sdegno che di lì a poco porterà a Ferrara ottomila persone per la manifestazione di solidarietà #vialadivisa.

“Eravamo indecisi se tornare indietro a discutere oppure andare verso la sala del congresso – riprende Maccari -. Poi, una volta giunti al convengo, dalle agenzie abbiamo scoperto che era esplosa una gigantesca polemica. Sembrava di essere dentro una centrifuga. Nel frattempo in Senato i parlamentari si stavano alzando in piedi per esprimere solidarietà a Patrizia Moretti. Credevo di vivere in un incubo”.

Fu allora che si iniziò a parlare della foto di Federico. “Credo che l’argomento fosse stato introdotto dal senatore Alberto Balboni (che patteggiò la pena per poi usufruire della rimessione di querela della Moretti, ndr). Si parlava di come la stampa avesse montato un caso. Per far capire il tritacarne mediatico che si era creato, io ho sporto più di cento querele”.

La difesa, sostenuta dall’avvocato Eugenio Pini, punta sul fatto che in un primo momento quell’immagine – che faceva parte della documentazione del consulente di parte Antonio Zanzi, scattata durante l’autopsia – non fosse stata inserita nel fascicolo dibattimentale, cosa avvenuta in un secondo momento.

“In molti sostennero che fosse falsa – afferma l’imputato – perché si diceva che non era stata ammessa a processo. Io rappresentavo a livello nazionale un sindacato che non aveva detto una parola sull’argomento Aldrovandi, né ci siamo mai permessi di sottolineare gli aspetti umani della vicenda”.

In realtà, proprio nel volantino che da un mese il Coisp diffondeva in città, si leggeva, a proposito dei colleghi condannati per omicidio colposo, che “in questa situazione non hanno sbagliato, ma hanno operato in una situazione difficile che poi qualcuno ha valutato in una maniera che noi non consideriamo corretta”.

Vero è invece che, prosegue Maccari nel suo esame, “la nostra contestazione era rivolta alla applicazione della pena, il carcere senza concessione di misure alternative, cosa senza precedenti per sei mesi di pena) e da lì è iniziata la macelleria. Tutto è nato quindi all’interno di un ragionamento più ampio; abbiamo riportato esattamente quello che si conosceva e che avevamo letto sulla stampa. La notizia che non era stata accolta tra gli atti del processo non l’ho veicolata io ma gli stessi organi di stampa”.

Quella “stampa vigliacca e penosa”. “Parole che penso ancora – insiste il sindacalista di polizia -. Io non ho niente contro la signora Moretti e non ho mai detto che quella frase era riferita alla foto esposta dalla Moretti”.

Prima di Maccari aveva deposto proprio la Moretti, un pro forma per confermare le dichiarazioni rese ormai più di un anno fa, prima di ripetere parte dell’istruttoria a causa del cambio di giudice.

Fuori dall’aula, prima di congedarsi, la madre di Federico riflette però su quanto sentito dall’imputato: “hanno visto tutti quello che è successo e hanno letto tutti le sue dichiarazioni di allora. Quello che mi convinse a scendere in strada fu la reazione scomposta di Potitto Salato contro il sindaco Tagliani e l’atteggiamento provocatorio del sindacato. Se volevano protestare, potevano andare davanti al tribunale di sorveglianza e non davanti al Comune”.

“Continua ad essere doloroso ricordare tutto – aggiunge -. Maccari dice che non sapeva che la foto fosse entrata di diritto negli atti del processo, eppure il primo grado si era già concluso da quattro anni e si era già pronunciata anche la Cassazione. Spero sia l’ultima volta che ho a che fare con loro”.

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