Attualità
7 Ottobre 2019
Due 19enni di Fridays For Future ed Extinction Rebellion raccontano la loro lotta all'evento di chiusura del festival: "Ci ribelliamo perché non c'è più tempo"

Internazionale saluta con i giovani attivisti climatici

di Redazione | 4 min

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Finisce in chiave ambientalista e di advocacy la tredicesima edizione del festival di Internazionale a Ferrara – che quest’anno ha visto la partecipazione di 79mila persone -, con la presa del palco del teatro Comunale domenica pomeriggio da parte di due 19enni con ruoli di responsabilità nelle associazioni contro il cambiamento climatico e un reporter olandese, lui un po’ più grande, esperto del tema per l’evento conclusivo della kermesse intitolato non a caso ‘Noi ci saremo’.

L’evento di chiusura del festival è familiare nella sua impostazione invariata nel corso degli anni: sul palco del Comunale ci sono due poltrone, un divano e un tavolino ad accogliere gli ospiti – in questo caso Daze Aghaji, Alexander Fiorentini e Jaap Tielbeke, rispettivamente attivista inglese di Extinction Rebellion, esponente forlivese di Fridays For Future Italia e giornalista del ‘De Groene Amsterdammer – i cui interventi vengono moderati da Marino Sinibaldi di Radio 3 Mondo.

E la prima osservazione, in apertura, la fa proprio quest’ultimo: “La velocità con la quale questi movimenti si sono diffusi non ha precedenti nella storia. Sicuramente succede per il carattere emergenziale del cambiamento climatico, ma probabilmente ha a che fare anche con il cambiamento dell’informazione e sulla sua rapidità di diffusione. Sono nuove sfide per l’informazione e ancora più grandi per la politica”.

In tutto questo comunque Sinibaldi identifica tre reazioni alla nascita dei movimenti ambientalisti giovanili in Italia: “La prima è il sollievo, perché si tratta di una narrazione alternativa a quella prevalente e roboante del sovranismo”, spiega, “la seconda è la reazione della politica che addirittura chiede aiuto ai ragazzi senza potere, ed è molto interessante (sul tema cita l’ultimo esempio arrivato dalla direttrice del Fondo Monetario Internazionale Christine Lagarde, ndr), mentre la terza è l’odio, che ha a che fare con le forme, i contenuti e i corpi della protesta come quello di Greta, simile a quello che ha inquinato il dibattito politico e che è contrario alla giovinezza e alla speranza”.

L’attivismo di Daze Aghaji invece è cominciato “quando avevo 16 anni”. Abitava nel Lincolnshire ed era sempre stata ambientalista, ma “ho iniziato a vedere gli effetti del cambiamento su di me: la mia asma è peggiorata e i dati della mia zona indicavano un inquinamento molto alto. Mi sono chiesta ‘perché i media non ne parlano?’ e mi sentivo senza speranza, poi sono andata alla dichiarazione di ribellione di Extinction Rebellion ed è stato straordinario. Da allora è emersa Greta e noi siamo con lei”.

A chi la attacca per le assenze da scuola risponde che sì, è importante, “ma non è l’unico modo nel quale si esprime la propria intelligenza. E poi noi ci ribelliamo non per ridurre le emissioni ma contro tutto quello che ha creato questo casino. La politica non ci ascolta più, si è rotto il patto sociale, e per far reagire le persone queste devono capire che devono fare qualcosa, ed è la parte più difficile”.

Anche l’attivismo di Alexander Fiorentini è cominciato presto, in seconda superiore, ma a gennaio “è terminata la fase dell’eliminazione delle complessità e ho cominciato a capire quanto urgente sia l’argomento”. “I politici danno risposte vaghe”, è la sua lettura, “perché è un movimento che li preoccupa, era da vent’anni che non si vedevano gruppi così grandi, con questa forza propulsiva e di giovani. Non ci arroghiamo il diritto di metterci al posto degli scienziati ma facciamo sensibilizzazione stando in mezzo alle persone, parlando con loro”. E se la prende anche con il ministro dell’istruzione Fioramonti: “Quando toglie la necessità della giustificazione per le assenze elimina il conflitto e quindi non c’è più sciopero. Così è un metterci in silenzio”.

Entrambi comunque concordano che la strada della criminalizzazione delle persone comuni sia quella sbagliata: “Non siamo tutti colpevoli allo stesso modo: sono i governi ad avere il potere di cambiare le cose, sono loro che vanno ritenuti responsabili. Se ci ossessioniamo puntando il dito contro chi non fa azioni o gesti individuali creeremmo resistenze”.

Sulle sfide dell’informazione nel raccontare “una storia che è dappertutto e i cui fondamenti scientifici sono gli stessi da vent’anni” interviene invece Jaap Tielbeke: “Sappiamo la causa del cambiamento climatico ma non è stato fatto nulla. Il cambiamento climatico non è una storia scientifica, ma tocca la politica, le ideologie e l’economia. Facendo questa riflessione allora si può pensare ai diversi racconti e ai diversi punti di vista. Purtroppo i media cercano sempre una voce contraria per bilanciare le opinioni ma questo è fuorviante per il pubblico che pensa che non ci sia un consenso su quanto sta avvenendo. Su questo giocano le industrie fossili, che hanno avviato campagne deliberate per offrire disinformazione tramite questi esperti. È la stessa tattica che venne adottata dalle industrie del tabacco decenni fa, ma se oggi sarebbe impensabile un ospite in tv che sostenesse che il fumo non fa poi così male con il cambiamento climatico siamo ancora a quel punto”.

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