Lettere al Direttore
2 Agosto 2019

Acquacoltura significa coltivare il mare

di Redazione | 4 min

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Goro. Il prodotto che si ottiene dall’acquacoltura, sia esso pesce o crostaceo, non è frutto di prelievo da uno stock naturale, ma il risultato di un’operazione di semina e raccolta, come avviene in agricoltura. E come in agricoltura sono talvolta necessari lavori di preparazione del suolo, per favorire l’insediamento del seme e la sua crescita. Fino a qui, le analogie

È  quanto differenzia la coltivazione in mare da quella a terra che crea delicate complicazioni, dato che tutto si svolge in un ambiente, il mare, che è denominatore comune. Se nel mio campo decidessi di piantare ortaggi, non interferirei col mio vicino che invece coltiva erba medica o granacee. E viceversa.

In mare, invece, ogni azione che si compie nello specchio acqueo in concessione può avere ripercussioni su quella del vicino, soprattutto se le azioni che si mettono in pratica modificano lo stato dei siti. Un esempio: se per creare condizioni migliori per l’insediamento del seme di vongola decidessi di depositare uno strato di sabbia nella mia concessione, una volta ottenute le autorizzazioni dagli enti preposti, nel momento in cui materialmente questa sabbia viene sparata dalla draga aspirante/refluente, non tutto il materiale (aspirato in un determinato sito) e riversato nella mia concessione cade esattamente dove vorrei che si depositasse: una parte di sedimento rimane in sospensione, in balia delle correnti marine che lo spostano  nella direzione in cui esse si muovono in quel momento.

In questo modo, il ‘mio’ sedimento potrebbe andare a bonificare non solo il mio fondale, ma anche quello del mio confinante. Ma se per caso il mio confinante, a differenza di quanto ho predisposto io (ovvero, in previsione di depositare uno strato di diverse decine di centimetri di sabbia, ho cercato di prelevare tutte le vongole allevate, dato che quelle che finiscono sotto un nuovo strato di tale spessore, sono destinate a morte certa) non avesse pescato le proprie vongole e si trovasse anche solo per una fascia lungo il confine comune con uno strato di sabbia ‘inaspettata’, a quale tipo di conseguenze andrebbe incontro?

Soprattutto se il materiale in sospensione possiede una percentuale importante di limo, il pericolo che questo una volta depositandosi formi un film impermeabile all’ossigeno è fatto ampiamente verificato negli ultimi trentanni di allevamento di vongole nella Sacca di Goro: lo strato di limo che impedisce all’ossigeno disciolto in acqua di permeare nel suolo, porta le vongole a morire per anossia. Per questo motivo, a seguito di grande spostamento di sedimento, sia per le cause antropiche sopra citate, quanto per forti mareggiate, spesso ci si trova di fronte a fenomeni di moria di vongole allevate, ma anche di seme naturale.

Ma la modifica dei fondali, oltre ad alterare i parametri dinamici, spesso comporta importanti alterazioni anche di quelli statici. Infatti, il cosiddetto ripascimento dei fondali altro non è che una sovrapposizione di uno strato di terreno ad un fondale preesistente; questa sovrapposizione di materiale comporta una sostanziale modifica non solo del tirante d’acqua (la profondità), ma l’alterzazione della morfologia generale del sito: zone (concessioni demaniali marittime) che prima avevano profondità omogenea, dopo l’intervento, vengono a trovarsi su piani diversi.

Differenze anche soltanto di poche decine di centimetri, a loro volta, condizionano riflusso e deflusso della marea, spesso trasformando le zone non interessate da bonifica dei fondali in conche, depressioni nelle quali sedimento disciolto ma soprattutto macro-alghe tendono a depositarsi, con le immaginabili conseguenze anossiche che chi alleva vongole ben conosce.

Considerato che queste riflessioni a voce alta sono ampiamente di dominio pubblico, suffragate da ormai tre decenni di esperienza, viene da chiedersi per quale motivo interventi antropici di tale delicatezza siano quasi sempre autorizzati. Non discuto sul fatto che le autorità preposte svolgano correttamente le proprie istruttorie a verifica della sussistenza delle dovute garanzie. Mi riferisco al livello non tecnico, a quello di indirizzo: viene spontaneo chiedersi come, a rendicontazione appena terminata (30 aprile 2019) di una serie di interventi Life co-finanziati dalla Comunità Europea per circa 4 milioni e 400mila euro (con circa 450mila per escavo di canali sub-lagunari nella parte orientale della Sacca), interventi senza dubbio strategici quali l’escavo della bocca secondaria dello Scannone prevedano che il materiale di risulta ritorni, in qualche modo, all’interno della Sacca stessa: non appare chiaro come una serie di interventi spot (sia pubblici che privati) si coniughino in un piano complessivo.

Quanto se ne deduce è una sorta di mancanza di visione d’insieme, una cabina di regia capace di assumere decisioni contemperando le numerose e delicate variabili che governano questo ecosistema.

Rino Conventi

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