Lettere al Direttore
9 Maggio 2019

È solo il lavoro che consente di vivere in pace

di Redazione | 3 min

Se ben quindici cooperative e associazioni del Terzo Settore non avessero protestato per le diarie ridotte (da 35 a 21 euro), la maggioranza dei ferraresi non saprebbe che in città ci sono tante organizzazioni dedite all’accoglienza retribuita dal governo.

Eppure la Ferrara dei pendolari, sempre ultima nelle classifiche del nord Italia, non ha particolari risorse per competere con località più idonee all’accoglienza: l’Addizione rinascimentale attrae solo l’élite del turismo culturale e, in mesto declino di artigianato e industria, proliferano supermercati, ipermercati, bar, pub, pizzerie, piadinerie, gelaterie, ristoranti, spaccio di droghe, nail piercing, sale giochi, ecc., indizi non di vitalità socioeconomica ma, parafrasando il card. Biffi, di disperata insaziabilità di cose futili. È un’agonia di civiltà, la nostra, sommersa dai rifiuti in plastica saturanti l’ecosfera. Non è, pertanto, una malvagità da strega di Hansel e Gretel attirare in un contesto tanto superficiale gente in cerca di un solido futuro?

Fra i motivi della rinuncia del Terzo Settore a partecipare all’ultimo bando per la decurtazione della diaria leggiamo: “Le persone ospitate non avranno più la possibilità di utilizzare quanto già a loro disposizione nei singoli appartamenti, né potranno occupare il tempo in quelle semplici attività quotidiane, quali il prepararsi il cibo e il fare la spesa, importanti per impegnare le ore della giornata da parte di coloro che non lavorano”. Che lungimiranza!

Nonostante manchino i ‘consumatori’ – per fortuna – fra gli aventi diritto d’asilo (art. 10 Cost.), con spirito mercantile si offre agli ospiti ‘che non lavorano’ lo shopping quale seducente modello di vita, in bulimica attesa economica di poter fare cose aggiuntive al cucinare i cibi comprati.

Non va dimenticato, sia chiaro, che gli animatori del Terzo Settore sono encomiabili per dedizione e umanità, ma è indubbio che abbiano un bizzarro senso d’accoglienza se ritengono che il far fare la spesa a gente del terzo mondo valga più della fondamentale full immersion nella cultura occidentale risultante da Bach, Vivaldi, Chopin, Caravaggio, Vasari, Rossetti, Umanesimo, Rinascimento e tutto quanto è possibile percepire non solo sul versante dell’arte per guadagnarsi una cittadinanza consapevole. Perché la civiltà cristiana europea è un dato di fatto, non una fantasia. E perché le cose nate malamente finiscono sempre male.

Nei primi anni del ‘900, terminando le bonifiche, con una crisi agricola in atto e con l’avvio di colture meccanizzate, 45.000 braccianti in Provincia rimasero disoccupati. Molti erano ‘immigrati’ interni che avevano deciso di stabilirsi qui fidando nel futuro della bonifica. Maldisposti a morire di fame, i braccianti si riunirono in decine di leghe socialiste, favorirono la creazione della Camera del Lavoro, scioperarono in massa, tumultuarono, si fecero temere anche con la prevaricazione, ottenendo indubbi risultati a difesa dell’occupazione. Era lotta di classe. E fu un modesto anticipo di quello che avvenne anni dopo con la smobilitazione dell’esercito, finita la I Guerra Mondiale, quando i reduci tornati a casa non trovarono né lavoro, né la terra promessa in premio, né solidarietà. Diventati anche loro ‘immigrati’ interni disoccupati.

Così Ferrara, già laboratorio di socialismo attivo prima della rivoluzione di Lenin, in uno scontro di classe di difficilissima soluzione fra Camera del Lavoro-Leghe, padronato e grave crisi economica, fu teatro dello squadrismo. Il cui successo convinse molti ad imitarlo, con le note conseguenze.

Colpa del fascismo, dice chi ignora quanto la parola Fascio a quel tempo fosse usatissima da tutti quale sinonimo degli odierni Movimento, Lista, Corrente (Fascio, nella seconda metà degli anni 10 era sinistroide). Invece tutto il disastro fu avviato, semplicemente, dalla disoccupazione.

È solo il lavoro che consente di vivere in pace. Se lo ricordino, i signori del Terzo Settore che non amano ritenersi albergatori accogliendo ospiti che ‘non lavorano’ in una città senza lavoro.

Paolo Giardini

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