Attualità
9 Maggio 2019
Pieno successo del progetto rivolto agli studenti del corso di Agraria all’interno della Casa circondariale

‘Liberi di filosofare’ nello spazio di una cella

di Redazione | 3 min

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Giovanni Fioravanti

Può sembrare ironico far filosofia in carcere, invece la proposta di un laboratorio sulla filosofia, rivolto agli studenti del corso di Agraria all’interno della Casa circondariale, ha riscosso grande successo e mostrato appieno di aver vinto la sfida.

Gestito dal Cpia – la scuola statale cui è affidata l’organizzazione della sezione pedagogica del carcere cittadino e voluto dal dirigente Fabio Muzi – il progetto “Liberi di filosofare” è stato affrontato con una quindicina di utenti grazie all’intervento volontario del professor Giovanni Fioravanti, per ragionare sui rischi di pregiudizi e preconcetti.

Socrate, Platone e Aristotele introdotti come compagni di viaggio nello spazio di una cella. “Devi sapere di non sapere” dice Socrate ad Alcibiade – nei dialoghi di Platone – e le pareti si allargano al mondo delle idee.

Cos’è un’idea? Studenti italiani e stranieri di varia provenienza si esercitano nella riflessione che porta alle risposte.

 “Fai scaturire il sapere che è dentro di te”, suggerisce ancora Socrate ed è così che viene voglia di cercare i libri di filosofia nella biblioteca interna, molto pochi in verità come se la riflessione sul mondo non dovesse appartenere al mondo recluso, come se il pensiero non potesse trascendere oltre le mura sorvegliate.

Aiutato dalla narrazione dei miti, Fioravanti ha condotto gli studenti al recupero della storia del pensiero umano, congiungendo la riflessione filosofica all’attualità.

Un progetto-processo – questo del filosofare – che non può limitarsi a pura e semplice operazione di trasmissione/assimilazione di un sapere codificato, ma diventa un’operazione di ripensamento, di ricostruzione di senso, di rottura col passato e di continuità nel solco dell’umanità. Questo l’obiettivo della professoressa Cristina D’Avino che ha coordinato il corso.

“Occorre riconoscere ai detenuti la loro dignità di persone – sottolinea la professoressa – e nutrire per essi il massimo rispetto se si vuole che essi si mettano in discussione e siano disposti ad accettare il conflitto socio-cognitivo. Solo così saranno in grado di elaborare, lentamente, nuovi e più condivisibili paradigmi interpretativi della realtà sociale e comunitaria”.

E allora Democrito spiega che ognuno di noi è un aggregato di atomi particolare, perciò è colpito in modo diverso dalle cose che lo circondano e questa può diventare una chiave di lettura “ affinchè ciascun detenuto si riappropri della sua identità e si faccia protagonista di un nuovo, personale progetto di vita”- insiste D’Avino.

A questo punto appaiono in tutta evidenza l’opportunità e l’efficacia di un laboratorio di filosofia, e in generale di iniziative a carattere culturale, da svolgersi proprio in carcere dove, nonostante le condizioni di isolamento e di forte limitazione della libertà, può farsi strada la cultura del dialogo, dell’ascolto e della reciprocità, necessaria perché ciascun detenuto si riappropri della sua identità e si faccia protagonista di un nuovo, personale progetto di vita

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