Con l’operazione “Predatori” l’Autorità Giudiziaria di Trento ha emesso 12 ordinanze cautelari nei confronti di cittadini della Nigeria e Italia e 12 decreti di perquisizione, sempre nei confronti di altrettante persone. Uno degli arrestati era residente a Ferrara, pluripregiudicato e punto fermo dell’associazione a delinquere che riforniva di stupefacente che poi veniva immesso nel Triveneto da corrieri nigeriani.
Si tratta di Andrew Ojie, nigeriano di 31 anni, attivo a Ferrara da almeno cinque anni. Come spiegato in conferenza stampa da Andrea Crucianelli, dirigente della Squadra mobile di Ferrara, Ojie era uno dei grossisti principali (l’altro si trovavava a Vicenza) che riforniva l’associazione per lo smercio di droga nel Trivenento, principalmente eroina, marijuana, cocaina e hashish.
Quattro membri della banda venivano a Ferrara per fare rifornimento da Ojie, nonostante lui si trovasse agli arresti domiciliari nella sua abitazione nei pressi di via Cattaneo, e poi partivano per Verona e poi ancora Trento e Rovereto. Il 31enne si trovava ai domiciliari perché già stato arrestato nel 2017 durante un controllo a Verona – quando faceva il ‘corriere’ e venne fermato mentre cedeva 4 ovuli di cocaina – e poi messo ai domiciliari, dove è rimasto tra l’agosto del 2017 e il giugno del 2018, data in cui è stato di nuovo arrestato nell’operazione Bombizona, sempre coordinata da Trento e della quale “Predatori” costituisce un seguito. Questa volta il gip ha disposto il trasferimento in carcere a Mantova.
Gli vengono contestate numerose cessioni concordate preventivamente per via telefonica avvenute tra marzo e maggio del 2018, tra ovuli di cocaina ed eroina e pacchi che presumibilmente contenevano anche marijuana, il tutto per alcune migliaia di euro. Dopo alcuni controlli risultati negativi gli inquirenti hanno intercettato gli uomini della banda che si complimentavano per come era stata ben nascosta la merce – anche grazie alle vedette che avvisavano dell’arrivo delle pattuglie -, o veniva spiegato che gli ovuli erano stati ingoiati non appena vista arrivare la Polizia.
L’operazione, nel complesso, ha portato alla luce un vasto traffico di droga tra Trento, Rovereto, Verona, Vicenza e Ferrara, gestito da un’organizzazione criminale, i cui appartenenti erano giunti in Italia come richiedenti asilo per motivi politici-umanitari o di protezione sussidiaria. L’indagine, come detto, ha preso spunto dalle indagini “Bombizona” (conclusasi l’anno scorso, con l’arresto, in totale, di circa 60 persone e il coinvolgimento a vari titolo di oltre 100 persone; 4 furono gli arresti in città) dalle cui attività finali emerse una nuova “batteria” di richiedenti asilo che trafficava in stupefacenti. Proprio a seguito di quella prima indagine gli investigatori scoprirono come dietro alle richieste d’asilo si nascondevano alcune persone che avevano quale obiettivo quello di costituire delle organizzazioni criminali volte a favorire traffici illeciti.
Il gruppo è risultato essere molto ben organizzato: assoldava anche tossicodipendenti italiani avendo capito che, grazie alle conoscenze dirette di quest’ultimi, si poteva consegnare la merce agli “amici” in luoghi diversi da quelli soggetti a controllo da parte della polizia. Non solo, quindi, si fidelizzavano i tossicodipendenti provenienti dalle valli, con un prezzo leggermente ribassato, ma si permetteva a questi di essere certi di non essere oggetto di controlli e del sequestro della “roba” da parte della polizia.
La forza del sodalizio, che operava principalmente nelle città di Trento e Rovereto, derivava proprio dalla stretta sinergia che intercorreva tra tutti gli associati, che reinvestivano gran parte dei proventi per l’acquisto di nuove partite di droga.
Risultavano, inoltre, vincolati da un legame di mutuo soccorso volto a risolvere i problemi legati alle vicende giudiziarie degli affiliati, motivo per il quale utilizzavano parte degli introiti per il pagamento di spese legali.
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