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8 Marzo 2019
L'iter di presentazione del docu-film proseguirà proprio oggi nella Casa Circondariale di Ferrara

Per un 8 marzo a memoria di donna e uomo: “Sezione Femminile” di Eugenio Melloni

di Redazione | 4 min

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“Sezione femminile” è un docu-fiction del regista bolognese Eugenio Melloni. Per conto della Cineteca di Bologna, insieme all’Asp Città di Bologna, coordina il progetto di ricerca sperimentale “Il memofilm, a memoria di uomo” sull’uso del cinema nei confronti di malati di demenza, avviato insieme al compianto Giuseppe Bertolucci.

Nel dicembre 2014 ha curato la regia del mediometraggio della campagna per la prevenzione dell’Hin, promossa dalla Commissione interaziendale Aids dell’Ausl di Ferrara e dell’Azienda Ospedaliero Universitaria di Ferrara, tuttora utilizzato.

Da novembre 2015 tiene un Laboratorio Cinema presso la Sezione Femminile del Carcere di Bologna, tuttora attivo. Proprio da questo fondamentale impegno nasce “Sezione femminile”, presentato a novembre a Bologna, prima presso la Casa Circondariale, poi al Cinema Parrocchiale Orione, a Roma alla Casa del Cinema e pochi giorni fa a Ferrara, al Cinema S. Spirito.

Il suo iter di presentazione e di diffusione proseguirà proprio l’8 marzo, giorno dedicato alla donna per antonomasia e, forse, con un senso un tantino – giustamente a nostro avviso – provocatorio – nella Casa Circondariale di Ferrara.

Dove sta la possibile ‘provocazione’? Quello di Ferrara è un carcere esclusivamente maschile, a differenza di altri in cui la popolazione femminile è presente per un 10 per cento circa. Come giustamente lo definisce lo stesso Melloni – pure autore del soggetto, della sceneggiatura e, soprattutto, del decoupage e del montaggio – il senso del plot filmico è una ‘trasfigurazione’ resa in una sorta di immaginario individuale, a tratti collettivo, una metafora applicata all’esistenza delle donne che scontano la loro pena nel carcere della Dozza di Bologna.

E immaginare serve a innestare un processo rieducativo, un percorso duro, per certe, forse, impossibile. “Sezione femminile” è un film complicato, certo, scomodo, imbarazzante – ma tale era l’intento, come pure il voler far pensare, il voler metter in discussione anche ciò che nella vita per ognuno/a di noi non è neppure pensabile, forse… Non esiste nulla di ‘scontato’ e questo lavoro aiuta proprio a metter a fuoco questo concetto assolutamente non banale, se non per pochi. I tempi lenti, la camera fissa su di un volto, per molto quasi ‘troppo’ tempo – sopportabile – mettono molto a disagio, eufemisticamente, il visivo fruitore…

Lo spettatore passivo, il voyeur per eccellenza, quello cinematografico, si trova di fronte a se stesso, stavolta con inquietudine e malessere: quel viso/quei visi che passa/no lo schermo a trafiggerlo quasi, quegli occhi, mettono in crisi, fanno ‘scomodamente’ pensare che ciò di cui si parla è una vita, per quasi la totalità una ‘non vita’.

La perdita degli affetti, di ogni sentimento, di ogni relazione significa un isolamento pressoché a 360°: i rapporti che si creano in carcere son probabilmente legati al tipo di reato commesso, alla pena da scontare, al ripensare, mettendosi a nudo di fronte a se stesse: più difficile, complicato, per l’appunto, per una donna più che per un uomo, per cui i legami son scelte quasi obbligate tra ‘simili’ che poi simili non son mai.

La pena può rappresentare un riscatto per qualcuna, difficilmente per tutte: un iter che potrà esser un giusto viatico verso il ritorno alla vita sociale, se affrontato in questa veste oppure una definitiva discesa agli inferi. Nonostante la popolazione carceraria femminile sia solo il 10 % rispetto al resto tutto maschile, come detto, ogni donna è una storia a sé, con problematiche proprie, molte addirittura inaffrontabili.

Esemplare e commovente la parte finale, una lettera divenuta opera corale, grazie ad una sorta di umana solidarietà, di una madre che ‘deve’ rivelare alla figlia adolescente il suo esser stata in carcere durante gli anni della sua assenza da casa, per ovvi motivi, fantasiosamente giustificata.

La trasfigurazione, concetto caro al regista, riguarda visivamente anche una trasposizione/sovrapposizione di immagini – splendida slow dissolvenza incrociata – che paiono raccontare di due diverse vicende, in apparenza: il fotogramma iniziale dell’imbragatura del Conservatorio di Ferrara, ex-ospedale e tomba del poeta Torquato Tasso – un’analogia tra l’umano e l’artistico davvero di rilievo – restaurato dall’architetto ferrarese Pirani, cui il film, peraltro, è dedicato affettuosamente, che si sovrappone alla cancellata che introduce alla porzione di carcere in cui si trovano le celle delle detenute.

Un doppio piano visivo/descrittivo di condizioni di vita passata con condizioni di vita presente, entrambe prive di un ‘sereno’ futuro.

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