Economia e Lavoro
7 Marzo 2019
Uno studio di Ascom Confcommercio confronta la situazione di 110 grandi Comuni italiani: Ferrara segue i trend nazionali, ma in maniera meno marcata

Ferrara a 10 anni dalla crisi: il commercio arranca, la ristorazione regge ma non decolla

di Redazione | 4 min

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Calano le attività commerciali, anche se a un ritmo minore che nel resto d’Italia, e aumentano alberghi e ristoranti, ma anche in questo caso più lentamente che nel resto del paese. Nel bene o nel male, a volte a Ferrara i trend nazionali si fanno sentire in maniera meno marcata: è questo almeno quanto sembra emergere dalla quarta edizione della Demografia delle Imprese nelle città italiane, il report curato da Confcommercio per fotografare lo stato di salute delle attività commerciali nei grandi Comuni italiani, che ha confrontato la situazione del 2018 con quella del 2008, quando la crisi economica era in procinto di scatenare i suoi effetti.

Uno studio dettagliato realizzato nel 2018 su 120 Comuni (oltre 13,6 milioni di abitanti, il 23 % della popolazione italiana) di cui 110 capoluoghi di provincia e 10 comuni non capoluoghi ma estremamente popolosi. Sotto la lente dell’ufficio studi nazionale 13 categorie merceologiche oltre che alberghi ed attività di ristorazione. Gli esercizi sono stati poi distinti tra quelli localizzati in centro storico e nel territorio comunale.

Nel periodo 2008/2018 “Su Ferrara – commenta il direttore generale Davide Urban – da un lato facciamo i conti con una contrazione minore della media nazionale nelle attività di commercio al dettaglio in sede fissa (a Ferrara in centro storico – 5,9 % e nel territorio comunale del -6,8% contro rispettivamente un – 12,3% ed un meno 10,4% nel centro nord). Un elemento di minore contrazione che con tutta probabilità è stato tamponato dall’ingresso delle catene di franchising in centro. Dall’altro – prosegue Urban – tengono le attività di ristorazione e ricettive ma con un tasso di incremento decisamente inferiore rispetto a quanto accade nel centro nord”.

Il direttore generale di Confcommercio Davide Urban

Infatti per quanto riguarda gli alberghi e di ristoranti il tasso di crescita nel centro nord (in centro storico) è del +43% mentre a Ferrara (sempre centro storico) solo del + 9,8%. Parimenti la crescita di attività ricettive e di ristorazione (fuori dai centri storici) si attesta nel centro nord al + 41,5%, invece a Ferrara (nel territorio comunale) solo del + 7,2%. “Dati che vale la pena di sottolineare perché indicano una crescita estremamente limitata e non in linea con il centro nord e dove peraltro è tutto da capire se questi aumenti numerici (ancorchè limitati) coincidano con incrementi di fatturato” considera Urban.

Nel periodo preso in considerazione dall’inchiesta (dal 2008 al 2018) si assiste nel commercio al dettaglio ad una contrazione: negli esercizi in centro storico si è passati da 574 unità a 542 mentre il numero delle attività (nel territorio comunale) è diminuito da 584 a 547. Differente invece la tendenza per quello che riguarda gli alberghi, i bar ed i ristoranti: nel 2008 erano 326 e nel 2018 sono divenuti 375 in centro storico. Mentre nel territorio comunale salgono da 358 a 402.

“Elementi che evidenziano la necessità- improrogabile – di una agenda urbana locale integrata che crei e metta in pratica condizioni autentiche politiche di promozione e salvaguardia dei tessuti urbani, per ripensare lo sviluppo a misura delle Persone, dei Centri Storici e della città, mettendo nella condizione di riprendere la crescita” conclude Urban.

“Confcommercio – afferma il presidente di Ascom Confcommecio Ferrara, Giulio Felloni – ha sempre esercitato un suo preciso impegno nell’ambito di sostenere i tessuti urbani ed i centri storici: ricordiamo che ad esempio proprio sul tema specifico della valorizzazione della funzione sociale delle attività commerciale ha avuto visibilità nazionale proprio l’esperienza di Ferrara. Stiamo parlando in particolare della rete d’impresa sviluppata dalle piccole attività di vicinato nella piazza della Repubblica (o meglio definita piazza del Gusto) dove appunto insiste la rete d’impresa che punta all’enogastronomia ed ha permesso nel giro di pochissimi anni di passare dal degrado a luogo per famiglie e socializzazione permettendo di arrivare ad una valorizzazione di quella stessa piazza”.

Il rapporto sottolinea la necessità di intervenire e laddove le normative dimostrino debolezza realizzare nuovi modelli integrati e di contrasto alle desertificazione: i valori dei negozi di vicinato devono essere supportati e tutelati con regole chiare, una tassazione equa che consentono una sana competizione ed integrazione tra la vendita fisica ed il digitale nonché la realizzazione di misure di sostegno alle imprese che intendono investire sulle attività di vicinato stesso: “Queste ultime rappresentano una funzione sociale oltre che economica ed in questo senso nuove integrazione tra cultura e turismo possono creare interessanti filiere produttive in grado di realizzare valori non solo economici ma anche occupazionali. Realizzare un Agenda Nazionale Urbana che definisca priorità e politiche per i centri urbani è tra gli obiettivi di Confcommercio: a livello nazionale il 70 – 80% della riduzione del totale del numero dei negozi nei centri storici è in pratica attribuibile sia a fenomeni di razionalizzazione ma anche a dolorose scelte imprenditoriali relativi alla insufficiente redditività, alla competizione sfrenata dei centri commerciali della grande distribuzione organizzata, ai parchi commerciali, agli outlet ed ultimo in ordine di tempo al commercio elettronico”.

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