Attualità
4 Marzo 2019
Il 23enne guineano racconta il suo viaggio-incubo verso le nostre coste: “Non serve fermare tutte le migrazioni per porre fine a spaccio e mafia”

Dal Mediterraneo a Ferrara: “Avete gli strumenti politici per fermare la criminalità”

di Redazione | 5 min

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“La mia vita è salva, ma non la mia testa”. Le parole del 23enne Dian Diallo hanno attraversato il Mediterraneo e la politica dittatoriale della Guinea per arrivare a Ferrara dove, a poco più di due anni di permanenza, ha deciso di raccontare la sua storia alla cittadinanza riunita al Cohousing San Giorgio di via Ravenna, non facendo mancare un suo primo parere sulla politica delle nostre parti.

Raccontaci la tua storia, il tuo Paese. Da cosa sei scappato?

Sono nato a Jongori, mio nonno era il re del villaggio. Ma mio papà non era d’accordo di rimanere lì a fare la vita di suo papà, così lasciò me e mia mamma e andò nella capitale. Poco dopo lo raggiungemmo, e rimasi lì con loro fino a quasi dieci anni. Poi però, hanno divorziato: mia mamma non poteva più avere figli, e così la famiglia di mio papà disse che doveva risposarsi. Ho iniziato presto a entrare nel movimento dell’opposizione, a fare manifestazioni politiche, perché in Guinea la nostra etnia non ha diritti. Ci sono i ‘peul’ e i ‘malinké’, e il governo ha sempre politicamente privilegiato i malinké, continuando a uccidere i peul e chi non fosse d’accordo col potere. E lasciando un paese potenzialmente ricco come la Guinea non sviluppato a causa di un accentramento di potere. Ci sono poche scuole e tutte private, così chi non ha soldi non può portarvi i propri figli, e i bambini sono costretti a lavorare a dieci anni. L’acqua non è potabile, e la vita media arriva ai 50, massimo 55 anni. Chi vorrebbe vivere in un Paese dove un padre ha quattro mogli, dieci figli, e un governo che non dà la possibilità di farli vivere bene?

Nel ’58 la Guinea diventa indipendente dopo la colonizzazione francese. Quando nasce la rivalità etnica? E perché? Non è cambiato nulla da allora?

La rivalità nasce proprio dopo l’indipendenza, con il primo presidente, Ahmed Sekou Toure, che ha ucciso tantissimi intellettuali peul. La nostra etnia è sempre stata caratterizzata dalla cultura, dallo studio, e lui ha visto in questo una minaccia al suo potere. Tantissimi peul sono migrati con il suo governo, alcuni in Senegal, altri in Europa. Nessuno poteva avere una bella casa, o una vita decente. Il momento politico migliore c’è forse stato con il secondo presidente, Lansana Conte, che almeno ha lasciato sviluppare la popolazione: chi voleva lavorare ha lavorato, si è costruito una casa, e la gente era più libera. Le elezioni, però, sono sempre state pilotate, e con l’attuale presidente, Alpha Conde, le cose da questo punto di vista sono andate sempre peggio. Lui era arrivato terzo alle elezioni del 2010, ma hanno cambiato i risultati: chi ha organizzato le elezioni, ovviamente, era un malinké, e sono stati uccisi 140 peul che hanno manifestato contro.

Quando hai deciso di andartene? C’è stato un episodio scatenante?

Non avevo mai pensato di viaggiare. Quando abbiamo iniziato questo movimento di opposizione, io facevo da tramite coi giovani, volevamo far vedere al mondo chi sta uccidendo i manifestanti. Il 7 maggio 2015 c’è stata una manifestazione pesante, ci siamo picchiati, e la polizia era contro di noi. Quel giorno tra i rivali ho riconosciuto amici, vicini con cui ero cresciuto. La polizia mi ha preso, e sono rimasto rinchiuso in prigione due settimane. Stavo male, e mi hanno portato in ospedale per tre giorni. Da lì sono scappato in Mali, dove c’era un amico da cui sono rimasto due mesi. Ma lui non poteva più tenermi, e così, con altri ragazzi guineani che ho conosciuto lì, siamo andati in Niger. Volevamo andare in Algeria, ma non era un buon momento per andare lì, e così abbiamo deciso di prendere la strada per la Libia. In tutto ci sono rimasto sette mesi.

E come mai hai deciso di lasciare la Libia e attraversare il Mediterraneo?

Avevo trovato lavoro presso un libico, badavo ai suoi animali, ma mi ha fatto tante cose brutte. A volte mi pagava, a volte no, a volte mi dava da mangiare, a volte no. Era armato, e ha minacciato di uccidermi tante volte, chiedendomi chi mi avesse detto di venire in Libia. Così sono scappato ancora, e ho incontrato un vecchio cugino, più grande di me, che stava progettando di andare in Europa. Io ci ho pensato tanto, pensavo a mia mamma, non l’avevo più rivista dopo la manifestazione. In quel periodo non avevo più voglia di vivere. Avevo con me 1200 denari, e ho accettato.

Raccontaci del viaggio.

Un uomo ci ha portati in una stanza con un bagno: eravamo in 150, e ci siamo rimasti per due settimane. Era il 15 novembre 2016. Alle 23, sono venuti a dirci che erano pronti per caricarci per l’Europa. Abbiamo viaggiato fino alle 5 del mattino, quando la nostra barca, se così si può chiamare, si è rotta. Sono morte 99 persone, io sono rimasto appeso a un legno fino alle 11. Non capivo più niente, avevo forse perso i sensi. Quando mi hanno toccato ho aperto gli occhi e ho chiesto dov’erano gli altri. Mi hanno detto che erano tutti morti. Mio cugino era morto. Abbiamo visto qualcosa in lontananza, era una nave da commercio: ci ha presi su, ci ha fatti riposare, e ha chiamato un’altra nave che ci potesse portare in Italia il giorno dopo. Sono arrivato in Calabria e andato direttamente a Bologna, dove sono rimasto una settimana. Poi, a Ferrara.

Come ti trovi? Cos’hai fatto da quando sei qui?

Da quando sono qui ho studiato la lingua italiana, ho fatto la terza media. Ho fatto volontariato alla Caritas, e altre cose. Adesso sto cercando di fare l’alberghiera. Prima, appena arrivato, ero più contento. Adesso, vedendo la politica italiana sulle migrazioni, non sono tranquillo.

A proposito di politica e migrazioni. A Ferrara si parla di criminalità, spaccio e mafia nigeriana. Che cosa ne pensi?

Con tutti gli strumenti politici che ha un Paese sviluppato come l’Italia, penso che sarebbe possibile fermare la criminalità organizzata di Ferrara, se si volesse. Non è qualcosa di nascosto, di impossibile da scovare: avete più potere, più materiale dei governi africani, e sistemi per sapere chi sta facendo cosa. Penso che non sia necessario fermare le migrazioni per porre fine a questo problema, ma che sia possibile tenere solo chi vuole vivere nella legalità.

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