Politica
24 Febbraio 2019
Per l'ultimo segretario del Pci in Europa "i populisti hanno ragione sulla mancanza di sovranità ma sbagliano le risposte"

Occhetto analizza l’eclissi della sinistra: “È come la fenice, risorge solo se cambia”

di Redazione | 4 min

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Quello dell’ultimo segretario del Partito Comunista Italiano è un discorso convoluto, che interseca le mille analisi sulla sinistra — e sulla sua crisi, che definisce ‘eclissi’ — che lo porta in alcuni contesti anche a dare parzialmente ragione alle forze populiste, e sulla società che cambia ed è cambiata, fino ad arrivare tra le varie conclusioni a quella più dura, ovvero che “per far rinascere la sinistra non è necessario rimettere insieme i vecchi cocci, ma serve una rifondazione. Non degli autoscioglimenti ma delle ridefinizioni. E in questo sono essenziali le contaminazioni”.

Achille Occhetto, nella presentazione del suo libro (La lunga eclissi della sinistra, edito da Sellerio) sabato pomeriggio all’oratorio San Crispino, non è tenero come non lo è stato nella parola scritta con la gestione delle forze riformiste degli ultimi anni — anzi, uno dei motivi per cui ha scritto la sua opera oltre all’incombenza del 30esimo anniversario della caduta del Muro di Berlino “un fatto epocale che ha chiuso la politica del ‘900” è proprio quello di “togliersi alcuni sassolini dalle scarpe”.

Teorizza (come sintetizza il vicesindaco Massimo Maisto) il ritorno al centro della politica, perché messa da parte in favore dei governi economici e degli accordi internazionali ha poi portato alla spallata dell’antipolitica per terminare con la presenza al governo di due partiti che invece delle scelte politiche ne fanno una bandiera. Per lui infatti “non ha funzionato la subalternità del riformismo moderato al neoliberismo. Dopo la grande crisi del 2008 anziché dare risposte di sinistra abbiamo dato risposte da destra”, e osserva come — prendendo ad esempio Detroit che vota Trump — “alcuni movimenti operai sono diventati dei nazionalismi, e questo è uno dei tarli fondamentali che occupa la scena politica”.

Del movimento operaio e di quello comunista c’è comunque un’esaltazione, ma “anche se era pieno di diversità eravamo originali ma non innocenti perché il comunismo non è morto improvvisamente, non è morto con il crollo del Muro. C’è stato un offuscamento dell’internazionalismo che avviene con la dottrina di Stalin delle sfere d’influenza, della politica dei due campi, per cui la bellissima parole d’ordine di Marx ‘lavoratori di tutto il mondo unitevi’, che voleva dire solidarietà aldilà delle frontiere, diventa una sorta di geopolitica e di scontro fra Stati ammazzando così l’idea stessa di internazionalismo ricostruendo una schiera di Stati polizieschi. L’internazionalismo proletario, ed è un paradosso, è stato quindi sconfitto dall’internazionalismo capitalista. Il capitalismo ha creato una classe cosmopolita e transnazionale che fa interessi al di fuori delle frontiere”.

Detto questo “non si può capire come uscire dalla crisi se non si capisce come ci sia arrivati”, e per lui la sinistra — anche se usa spesso ‘le sinistre’, al plurale perché ci sono tante sensibilità diverse nella sinistra — è “un’araba fenice che può risorgere dalle proprie ceneri solo se capisce di aver toccato il fondo e di dover cambiare tutto”. Per Occhetto quindi — che difende la svolta della Bolognina, “che in Europa avevano apprezzato mentre in Italia anche tra chi l’aveva accettata c’era la gara a ridurne la portata” — vanno scisse le analisi tra i movimenti socialisti europei e quello italiano.

In Europa infatti “il tema della sovranità è centrale, bisogna ritrovarne il concetto”. Anzi, “i populisti hanno ragione, ma danno risposte sbagliate. Quando la signora Le Pen dice che non c’è più sovranità nazionale ha perfettamente ragione, ha torto quando pensa di ricondurre questa sovranità nei vecchi schemi nazionali. Bisogna portare la sovranità a livello nazionale”. E per questo, alla vigilia delle Europee “la scelta deve essere tra due idee di cambiamento, guai se non fosse così. Va prospettata una nuova struttura per l’Europa, che ha fornito alibi al populismo”. Questo perché “il problema è molto concreto: i problemi dell’ambiente, della democratizzazione del cyberspazio, delle disuguaglianze non si risolvono a livello di nazione o di continente, serve una sinergia”. E poi “c’è il problema dell’identità, ma nessuno ha un’identità sola”.

In Italia, invece “dobbiamo far saltare le vecchie tavole: non ci troviamo più davanti al blocco storico di contadini e operai, abbiamo delle trasversalità”. Se una bomba d’acqua cade su una piazza, spiega, coinvolge cittadini: ricchi e poveri allo stesso tempo. “Ed è qui che si apre una nuova fase, con caratteristiche diverse dalle lotte politiche del ‘900: le trasversalità le avremo quando dovremo affrontare i risvolti dell’applicabilità delle scoperte sulle neuroscienze, ad esempio”.

“Negli ultimi tempi le sinistre europee e quella italiana non hanno ragionato. Abbiamo delle eccellenze, ma guai a soffermarci su quelle. Bisogna vedere il mondo nel suo complesso, perché di fianco abbiamo delle zone dismesse”, conclude Occhetto, “e non è sufficiente dire ‘andiamo sul territorio e occupiamoci dei poveri’, sono problemi che vanno affrontati seriamente. E poi ci sono vecchie e nuove povertà, vecchi e nuovi scontri di caratteri sociali. Non siamo più nel ‘900”.

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