Economia e Lavoro
6 Dicembre 2018
Su 100 giovani italiani appena 10 ottengono una magistrale. Bianchi: "Occorre capire se il sistema universitario sia adeguato"

Viesti: “Italia ultima in Ue per laureati, colpa di politiche classiste”

di Redazione | 3 min

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di Simone Pesci

L’università italiana ha preso una brutta deriva e ha bisogno di urgenti correttivi. In sintesi, è questo che emerge dalle parole di Gianfranco Viesti, docente all’università di Bari e autore del libro “La laurea negata. Le politiche contro l’istruzione universitaria”, che è stato oggetto di un incontro che si è sviluppato al Dipartimento di economia di Unife. Già il titolo del volume è indicativo della condizione che sta vivendo il sistema universitario in Italia.

“Per l’università il finanziamento pubblico pro capite è di circa 114 euro, sei volte meno di quello dei Paesi scandinavi e tre volte meno di Germania e Francia, stati con i quali di solito ci confrontiamo” apre Viesti. Questo, a cascata, provoca una serie di fattori che, di fatto, affossano un sistema che vede l’Italia “all’ultimo posto dell’Ue, insieme alla Romania, per numero di giovani laureati che raggiungono il 26% contro una media comunitaria del 40%”. Un dato basso, anche perchè dalla vita accademica sono escluse le fasce più deboli, come spiega Viesti: “Le tasse universitarie italiane sono molto più alte che nei Paesi scandinavi, in Svizzera, Francia, Germania e Olanda nonostante si dica il contrario”.

Le stime dell’Anvur sui percorsi formativi mettono a nudo i dati preoccupanti sulla dispersione scolastica. Su 100 giovani, infatti, 22 non conseguono nemmeno la maturità, 42 decidono di intraprendere un percorso accademico, ma solo 24 ottengono una laurea triennale e appena 10 ottengono una magistrale. “I numeri sono questi anche perché i tassi di ingresso sono bassi, questo a causa di politiche classiste che rendono più difficili gli ingressi all’università” puntualizza Viesti.

Un sistema, dice l’autore del volume, che è diventato “segmentato”, anche perchè in questi anni è cambiato, fra le altre cose, il “sistema dei finanziamenti, con indicatori sempre diversi e a discrezione del Miur”. Per dare una sterzata occorrerebbe quindi un “investimento maggiore nel diritto allo studio per garantire l’accesso all’università agli studenti più poveri e del Mezzogiorno, e recuperare talenti a cui abbiamo chiuso le porte del nostro Paese”.

Ma non solo, occorrerebbe, infatti, anche “discutere per capire realmente se la forma organizzativa del sistema universitario sia adeguata oppure no”, incalza Patrizio Bianchi, assessore Regionale allo sviluppo, scuola, formazione professionale, università, ricerca e lavoro. 

L’eventuale confronto, però, non può non tenere conto che ci sono realtà che non possono fare a meno della propria realtà universitaria. Una di queste è proprio Ferrara, come aveva fatto notare in apertura il vicesindaco e assessore con delega Città Universitaria, Massimo Maisto: “Cosa sarebbe una città che ha bisogno di stimoli economici, con i tassi di natalità fra i più bassi al mondo, una città che vuole diventare una piccola capitale del sapere senza la sua università? Ferrara non è immaginabile senza la sua università, i cui studenti portano stimoli, capacità innovativa e fanno da ‘tampone’ demografico al problema dello spopolamento”. 

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