Attualità
4 Novembre 2018
Riflessioni sul film ‘1938: quando scoprimmo di non essere più italiani’. La testimonianza di Cesare Finzi

“All’esame una docente era convinta che noi ebrei avessimo la coda”

di Redazione | 2 min

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di Lucia Bianchini

1938: quando scoprimmo di non essere più italiani: basta il titolo- secondo Anna Quarzi-, a spiegare il significato del docufilm di Pietro Suber proiettato sabato 3 novembre al cinema Santo Spirito. All’incontro hanno partecipato, oltre al regista, Anna Quarzi, direttrice dell’Istituto di storia Contemporanea, Luciano Caro, rabbino di Ferrara, Cesare Finzi, e Andrea Pesaro, presidente della comunità ebraica di Ferrara.

Il film documentario ricostruisce le vicende che portarono dalle leggi antiebraiche alla deportazione degli ebrei italiani attraverso cinque storie raccontate in gran parte dai diretti protagonisti, vittime, ma anche persecutori. Il racconto procede anche attraverso immagini d’archivio e documenti d’epoca pubblici e privati.

“Questo film mi ha tirato fuori molte cose terribili– ha spiegato Cesare Finzi-: a otto anni il 3 settembre del 1938 ho letto un titolo di giornale che non ho più potuto dimenticare: insegnanti e studenti ebrei cacciati dalle scuole. A 13 anni all’esame di terza media una docente era convinta che noi ebrei avessimo la coda”.

Ecco perché “ad un certo punto questi ricordi che mi hanno accompagnato per ottanta anni vengono a cambiare il pensiero di tutti i giorni: mi sono sempre chiesto perché mi sono salvato, perché a me è andata bene, e non sono mai riuscito a darmi una risposta. Se sono qui è perché tra l’8 e il 9 settembre del ’43 sono stati arrestati i miei zii e la mia cuginetta Olimpia, una bimba di tre anni e mezzo che a quanto pare faceva paura al grande Reich, quindi appena lo ha saputo, il fratello di mia mamma è partito da Mantova per venire a Ferrara e ha convinto i miei genitori a scappare, così quando tra il 13 e il 14 novembre vennero a cercarci, non ci trovarono”.

A preoccupare particolarmente è la parte finale del documentario, in cui il regista ha parlato della non conoscenza dei giovani rispetto ai temi trattati. “Gli italiani ancora non hanno fatto i conti con il loro passato – ha ribadito Luciano Caro-: il fatto che ancora ci siano centinaia di giovani che inneggiano al passato, o che si sia indifferenti di fronte a manifestazioni negative rispetto ad un passato recente e tragico, non testimonia in favore di un ottimismo verso il futuro”.

Per il rabbino il filmato “ha un grande valore: un gerarca fascista disse che la guerra in realtà l’avevano vinta loro, perché una volta venuti a mancare i testimoni, sembrerà impossibile che sia successa una cosa simile. Questo documentario si pone come un tassello di valore in una storia molto più grande, per non dimenticare”.

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