Politica
7 Ottobre 2018
L'attivista senegalese Pape Diaw: "Non hanno mai capito che l'intercultura non è cous cous e tamburi, ma una pratica fra uomini"

Dalle stragi di Firenze e Macerata all’immigrazione, tutte “le colpe della politica”

di Redazione | 3 min

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Da Idy Diene, l’ambulante senegalese ucciso sul ponte Vespucci a Firenze lo scorso marzo, fino alla folle caccia all’uomo di Macerata, per la quale Luca Traini è stato condannato a 12 anni. E, ancora prima, i due morti e i tre feriti senegalesi di piazza Dalmazia, sempre a Firenze, nel 2011 e le leggi razziali del 1938. E’ stato un excursus lungo 80 anni, quello che ha gremito il teatro Comunale nella domenica conclusiva di Internazionale.

Col fiato sospeso il pubblico ha assistito al dibattito che si è aperto con il ricordo di Idy Diene da parte del fratello Aliou e della cognata: “Era venuto in Italia solo per lavorare. In Senegal siamo cresciuti con la condivisione e l’armonia: quando uno viene a casa nostra non è un ospite, ma è semplicemente fra noi e non c’è problema di pelle perchè il mio sangue può salvare un bianco che ne ha bisogno”.

Molto duro l’attivista Pape Diaw, che partecipò al corteo dei senegalesi di Firenze in seguito alla morte di Diene: “Quell’omicidio è stata un’occasione mancata, perchè dopo il 2011 poteva esserci l’inizio di un nuovo cammino condiviso con la comunità. Nessuno dei senegalesi gridava vendetta o ha mai pensato di uscire in strada a caccia di un bianco”.

Diaw si dice “molto deluso dalla politica e dal Comune”, perchè non hanno “mai fatto nulla se non venire un giorno all’anno con un gonfalone a dire ‘siamo antirazzisti’, ma l’antirazzismo si pratica con i fatti”. E ancora: “Non hanno mai capito che l’intercultura non è cous cous e tamburi, ma una pratica fra uomini. Io, l’omicidio di Firenze, lo ricorderò per una città che piange le fioriere”.

Bouyagui Konate, invece, racconta la sua esperienza dello scorso giugno a Napoli – dove lavora come cuoco -, quando “mi hanno sparato con un fucile a piombini”. Anche secondo lui, l’escalation di violenza è provocata dalle scelte della politica, sia quella attuale – “la campagna elettorale è stata basata contro l’immigrazione” – che quella ultracentenaria, con la conferenza di Berlino di fine 1800 che, sostanzialmente, ha “diviso l’Africa come delle fette di torta quando gli africani vivevano in pace”, e che per quel momento storico l’Europa “sta pagando le conseguenze per le quali deve assumersi le responsabilità”. “Se vogliamo fermare l’immigrazione – aggiunge perentorio Konate – dobbiamo andare in Africa e aprire gli occhi”.

Una linea sposata dal sindacalista italoivoriano Aboubakar Soumahoro, che mette in guardia dal guardare il colore politico – “il ministro dell’Interno Minniti davanti all’arrivo dei migranti predicava di aver temuto per la tenuta democratica del Paese” -, ma piuttosto di rendersi conto che “tutta la politica crea un clima di inimicizia, la popolazione diventa merce elettorale e c’è l’individuazione del nemico pubblico. La deriva presa – avverte – avrà come bersaglio prima gli italiani, quelli impoveriti saranno accomunati ai neri”.

“Il 2018 – chiude il giornalista Gad Lerner – sarà ricordato come l’anno in cui si è passato dalle parole ai fatti, con una sequenza che i media faticano a mettere in fila perchè svilisce l’immagine della Nazione. Nel 1938 le Leggi Razziali arrivarono improvvisamente, oggi invece c’è stata una lunga preparazione. A Macerata, un mese dopo la strage, ha vinto la Lega perchè si tende troppo ad abbassare i toni. Pensateci: i propagandisti del razzismo se la cavavano alla grande nel dopoguerra, oggi i propagandisti passano per coraggiosi e anticonformisti che utilizzano il linguaggio del popolo per costringere all’anonimato tutti gli altri”.

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