Attualità
24 Settembre 2018
Alla due giorni di FEsta in pace si è parlato anche di Niger, lavoro e migranti

“Aiutiamoli a casa loro”. Il lavoro come antidoto alla migrazione

di Redazione | 3 min

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di Federica Pezzoli

“Aiutiamoli a casa loro”: è questo ormai il pensiero – quasi – unico nel dibattito pubblico italiano quando si parla di cooperazione internazionale e di politiche migratorie.

Per aiutarli a casa loro, però, bisogna conoscere la situazione. E questo è stato il tema principale di “Italia-Niger, andata e ritorno; politiche migratorie e sfruttamento lavorativo: due facce della stessa medaglia?”, l’incontro tenutosi sabato 22 settembre all’interno della cornice di FEsta in pace in piazza del Municipio a Ferrara. Fiorella Prodi, responsabile immigrazione e politiche di cooperazione per Cgil Emilia Romagna, e Gian Andrea Ronchi, avvocato esperto di diritti dei migranti, hanno raccontato la loro missione nel Paese dell’Africa occidentale, durata dal 14 al 22 aprile scorso. Insieme a loro, ospite a sorpresa Ibrahim Kane Annour, tuareg del Niger che a causa dei conflitti per le miniere di uranio ha dovuto lasciare il suo Paese nel 2007.

Storicamente il Niger è sempre stato la porta d’accesso al Nord Africa per i migranti originari dell’Africa subsahariana e negli ultimi anni è diventato uno dei più importanti paesi di transito verso Libia e Algeria. “Nigerini in Italia ce ne sono pochissimi, generalmente vanno in Francia”, ha spiegato l’avvocato Ronchi, che ha sottolineato come il Paese sia in una “posizione strategica” fra il Golfo di Guinea e il Nord Africa e diventi quindi “il punto di appoggio, il collettore” di tutte le migrazioni nella zona del Sahel. Basti pensare che la capitale, Niamey, in poche decine di anni “è passata da 50.000 a 4 milioni di abitanti”. Inoltre, ha continuato Ronchi, il Niger “ha il triste primato dell’indice di sviluppo umano più basso del mondo”, il che significa due cose: “chi migra in Niger si trova a vivere in condizioni peggiori di quelle che ha lasciato” e “le condizioni di lavoro peggiori sono proprio quelle dei nigerini autoctoni”. L’85% di lavoro “informale”, come viene definito il lavoro non in regola, il 70% di analfabetismo fra i giovani e un tasso di natalità di sette bambini per ogni donna, tutto ciò rende necessaria “una lettura più ampia” per tentare di “creare quei germi di coscienza sociale che qui da noi stiamo perdendo”, ha affermato Ronchi.

Sulla stessa linea Fiorella Prodi, secondo la quale è fondamentale “intrecciare il problema del lavoro e il problema della migrazione”, una migrazione che, da anni, riguarda spostamenti interni e temporanei nel continente africano, non verso l’Europa. Ecco perché il vero dramma emerso dai colloqui con i lavoratori avvenuti sul posto sono state “la dissoluzione della Libia” e “la legge del 2016 che impedisce il transito dei migranti all’interno del Niger”. ‘Aiutarli a casa loro’ secondo Prodi non significa “dare soldi ai governi perché tengano i migranti schiacciati nei loro confini”, ma piuttosto partire – per esempio – dall’istruzione. Il punto di forza del progetto di cooperazione avviato da Cgil Emilia Romagna è, infatti, “una scuola dei diritti da costruire insieme agli interlocutori locali” e il suo valore aggiunto è “un progetto di emergenza per minori non accompagnati affidati all’Unhcr”, ha sottolineato Prodi.

Anche per Ibrahim Kane Annour bisogna ripartire dall’istruzione dei ragazzi e delle donne. Lui, da africano membro di una popolazione nomade, obbligato a diventare ‘migrante economico’ nel 2007, ha un’idea molto precisa di cosa significhi ‘Aiutarli a casa loro’. “Sono stato costretto a emigrare perché i francesi sono venuti nel mio paese per far funzionare le loro centrali nucleari”: il Niger è uno dei maggiori produttori mondiali di Uranio ed “esporta in Francia circa 40.000 tonnellate di uranio all’anno”. “Siamo obbligati a vendere alla Francia, che poi rivende al prezzo che più le conviene”: “fateci vendere le nostre materie prime al prezzo giusto”. “Il giorno che l’Africa si sveglierà, l’Europa morirà di fame”, è stata l’amara conclusione del tuareg nigerino.

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