Attualità
24 Settembre 2018
Partecipata serata organizzata da Amnesty International in occasione di “FEsta in pace” per parlare del popolo Rom

“Me sem tu, io sono te”, racconti di un popolo dimenticato

di Redazione | 3 min

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Sala Estense, quasi le 21. Alcune persone sono in coda per assistere alla serata organizzata da Amnesty International in occasione di “FEsta in pace” per parlare del popolo Rom. Nella piazza riecheggiano i bonghi dei Combo Camelot che col loro ritmo fanno ballare anche chi è in attesa. Dentro la sala li attende un altro gruppo, gli Akordyan. Suonano musica popolare balcanica e italiana. Accompagnano le attiviste di Amnesty che hanno organizzato una serata con interviste, letture e messe in scena perché, spiegano Marianna Tafuro e Francesca Mazzotti, “abbiamo sentito l’esigenza di parlare del popolo Rom visto l’atteggiamento razzista crescente verso le minoranze”. “Spesso – continuano – si pensa che il razzismo sia qualcosa legato al passato e invece è presente nel nostro quotidiano e noi questa sera vogliamo mostrarvi che è possibile vivere in una società multietnica e apprezzare le diversità”.

Tra gli ospiti della serata, oltre a Sead Dobreva, avrebbe dovuto esserci anche Dijana Pavlovic, attrice, politica e attivista serba naturalizzata italiana che però non ha potuto essere presente a causa di impegni lavorativi che all’ultimo momento l’hanno portata a Sarajevo. Dobreva, operaio e sindacalista della Cgil, è un rom napoletano (così gli piace definirsi) emigrato al nord per motivi di lavoro. Il suo peregrinare però non inizia da Napoli ma dalla ex Jugoslavia da dove è scappato quando ancora era bambino insieme alla famiglia nel 1991. “Prima della Guerra – dice – si stava bene, poi siamo dovuti fuggire”. “Siamo arrivati a Napoli – continua – e ci siamo trovati sulla strada, senza soldi e senza conoscere nessuno. Vivevamo sotto un ponte e l’unica soluzione per vivere era chiedere l’elemosina”. Sead ci tiene però a precisare che mai si pentirà di averlo fatto, “perché chiedere l’elemosina mi ha permesso di vivere e grazie all’aiuto dei napoletani che mi davano una moneta non ho dovuto delinquere per sopravvivere”.

Non si parla però solo di Dobreva ma anche di tanti altri Rom e Sinti spesso identificati come quelli che vivono nei campi ma, spiega, “questi sono solo una minima parte”. “Lo Stato – continua – dovrebbe smettere di spendere milioni di euro in progetti assistenziali investendo questi soldi responsabilmente, coinvolgendo i rom che vivono nei campi e creando una corresponsabilità”. Un esempio che propone è quello dei doposcuola che in alcuni campi sono proposti all’interno di questi accentuando la ghettizzazione di chi ci vive, “invece – afferma – i doposcuola non devono essere per i rom ma per tutti, è così che si crea integrazione”. Inoltre “non si deve pensare che tutti i rom vogliono vivere nei campi ma se nasci e vivi gran parte della tua vita in un campo poi questo diventa casa tua ed è difficile lasciarlo”. In più, secondo Dobreva, “una certa politica non ha grande interesse a chiudere i campi perché sanno bene che creano disagio e su questo disagio si vincono le elezioni”.

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