di Mattia Vallieri
“Io voglio essere ottimista: il nostro paese è pieno di intelligenze, sono sotto shock per il comportamento della politica, ma vanno riattivate. Ognuno di noi deve considerarsi difensore dei diritti umani e di quel mondo che abbiamo costruito con tanta fatica”. È un appello e un auspicio rivolto alla società civile, per un futuro diverso e più solidale, quello lanciato dalla coordinatrice italiana di Proactiva Open Arms Veronica Alfonsi durante l’incontro ‘Solidarietà sotto attacco’ all’interno del cartellone degli Emergency days.
Non poteva mancare un accenno alla situazione nel Mediterraneo: “Ora siamo a Barcellona – spiega la rappresentante di Proactiva Open Arms –, siamo sbarcati con 60 persone e siamo là perché non ci è possibile attraccare in Italia o a Malta. In questo momento nel Mediterraneo non c’è nessuno, questo significa morte e bambini, donne e famiglie da sole in mezzo al mare. È molto angosciante e speriamo di poter ripartire prima possibile”. Secondo Alfonsi “nell’ultimo mese le cose sono cambiate in negativo, ma il percorso è iniziato con gli accordi di Minniti in Libia. Si è voluto far credere che la Libia è un posto sicuro, negando la privazione di diritti umani testimoniata da Unhcr, Onu e giornalisti. Il secondo obiettivo è stato far credere che esiste una guardia costiera libica”.
“Tutte le nostre operazioni sono state fatte in collaborazione con la guardia costiera italiana che ci indicava il gommone in difficoltà e il porto di approdo, mai da soli” prosegue la coordinatrice di Proactiva Open Arms, ribadendo con orgoglio che “in questi anni abbiamo salvato 59mila vite umane” e ricordando poi di essersi accorta che “le cose stavano cambiando durante la missione a Pozzallo in cui ci sequestrarono la nave: per la prima volta la guardia costiera italiana ci ha detto che il coordinamento spettava a quella libica, che non esiste. Noi non abbiamo risposto alla loro richiesta di restituire le persone a bordo ma voglio ricordare che la nave è stata dissequestrata e non c’è alcun processo in corso. La chiusura dei porti viola una serie di norme ed è shockante, ma più preoccupante è il silenzio dell’Europa”.
A introdurre il dibattito è Silvia Stilli (portavoce delle associazioni e organizzazioni italiane di cooperazione e solidarietà internazionale): “L’aiuto umanitario è senza dubbio sotto attacco e fare del bene ha assunto una accezione negativa. Il 10 maggio dello scorso anno l’allora vice presidente della Camera Di Maio usò il termine taxi del mare e da lì nacque la lunga estate calda con le ong portate davanti a una commissione in Senato da cui nacque il codice di condotta. Quello fu il primo scollamento tra donatori e organizzazioni e possiamo dire che questa politica sta praticando l’eccidio umanitario”.
A fare gli onori di casa è la presidente di Emergency Rossella Miccio che non risparmia bordate: “Nell’arco di un anno e mezzo, con una svolta repentina nell’ultimo mese, ci siamo ritrovati a perdere i valori e i diritti in cui credevamo fortemente e a dover ridiscutere il vivere insieme. Sono stati tolti man mano dei piccoli mattoncini in modo subdolo e oggi il muro è crollato. All’inizio eravamo increduli poi sempre più preoccupati perché la deriva è allarmante e ci muoviamo in un mondo ostile”. E ancora: “Si è criminalizzato chi salva vite umane, a nessuno sarebbe venuto in mente di farlo fino a pochi mesi fa, e oggi ti devi giustificare anche se vuoi salvare qualcuno. Non si può sparare nel mucchio e tagliare le gambe delle ong di cui dovremmo andare fieri. Spero con tutto il cuore che questo paese abbia il coraggio di ribellarsi e di tornare ad essere uno Stato di umanità e cultura anche se non sono molto fiduciosa, almeno nel breve periodo, ma confido nella ricchezza umana dell’Italia e dell’Europa che è stata la culla dei diritti”.
“La politica ha aumentato la guerra tra poveri e i 300 morti di questi giorni nel Mediterraneo ce li abbiamo sulla coscienza” prosegue Miccio, dichiarando che Emergency “lavora in Italia da 12 anni e abbiamo trovato le stesse dinamiche di emarginazione che troviamo nei Paesi in guerra. In più siamo di fronte a una escalation di odio”.
La parola passa quindi ad Alberto Osti (Ibo Italia): “Nel recente passato la solidarietà si basava sulla fiducia mentre oggi la fiducia è sostituita dal sospetto che porta alla paura. Questo è un fardello che le ong si portano dietro e si costruisce tutto ciò per una manciata di voti. Le città sono diventate fonti di paura in cui vengono costruiti ghetti al contrario”. Proprio Osti torna sulla vicenda della palazzina della scuola ex Banzi: “Siamo stati sui giornali a causa di una fake news: c’è una casetta in via Comacchio di proprietà comunale concessa tramite bando, che abbiamo vinto, e deciso di spostare lì la nostra sede dopo una riqualificazione. Qualcuno però ha insinuato che siamo una associazione che fa accoglienza e la paura del diverso ha fatto muovere politica e abitanti e siamo stati contestati. Pensavamo di aver risolto il problema dopo l’incontro in sala Estense ma in diversi continuano ad avanzare sospetti, non credono alla parola di una ong e non capisco perché”.
A chiudere l’incontro è la voce di Amnesty International tramite la sua vicepresidente Alba Bonetti: “Il momento importante è stato aprile 2017 quando il pm Zuccaro insinuò che le ong facessero accordi con i trafficanti. L’accusa è già stata archiviata due settimane fa ma è stato lì che è iniziata la campagna di diffamazione verso le ong, che, con le loro navi, si sono sostituite in mare agli Stati. Quello nelle acque del Mediterraneo è uno spazio che spetterebbe occupare ai Paesi, ma si sono ritirati e di questo risponderanno alla storia”. Ma non solo: “La demonizzazione delle ong è stata ben orchestrata e ci ha fatto dimenticare la realtà e cioè che la Libia non ha uno Stato. L’Europa si sta sfasciando sulla accoglienza di un decimo dei rifugiati della seconda guerra mondiale e speriamo si sia toccato il punto più basso la scorsa settimana con la decisione di dare soldi alla guardia costiera libica che, è interessante ricordare, è sotto processo per crimini contro l’umanità. Non capisco poi perché è legittimo il desiderio di un italiano o europeo di avere una vita migliore e non può essere la stessa cosa per un maliano o un gambiano: così facendo promuoviamo una cultura che sostituisce il diritto con il privilegio”.
“È dal 2008 che siamo di fronte a una crisi finanziaria in cui complessivamente non si vede un’uscita che rassicuri i cittadini e per questo la politica si è trasformata nell’imprenditore della paura”, afferma ancora Bonetti, concludendo che “è vero, salvare vite umane costa soldi, ma anche ucciderle costa. Io preferisco che i miei soldi vengano usati per salvare persone in mare piuttosto che per costruire muri”.
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