Spettacoli
7 Giugno 2018

Gli intrighi di Padre e Madre Ubu

di Redazione | 3 min

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Non poteva essere più attuale la scelta di Horacio Czertok e Davide Della Chiara per gli attori-detenuti del laboratorio teatro-carcere della Casa circondariale “Costantino Satta” di Ferrara: nell’ambito del progetto del Coordinamento teatro carcere Emilia Romagna sulle “Patafisiche” del francese Alfred Jarry, martedì 5 giugno al Teatro Comunale Claudio Abbado è andato in scena “Ascesa e caduta degli Ubu” (prodotto da Teatro Nucleo), le imprese più grottesche che epiche e gli intrighi di Padre e Madre Ubu per salire al trono di Polonia.

Jarry per Padre e Madre Ubu si è ispirato ai Macbeth di Shakespeare, ma scrivendo all’inizio del Novecento, li ha scarnificati del loro spessore psicologico e trasformati in due maschere, gretti e volgari nel loro intrighi: lei una inesorabile arrivista che fiuta la preda, cioè i soldi, tanto intelligente quanto opportunista, lui un fantoccio nelle mani della consorte, avaro e ingordo, costantemente preceduto dal fetore della sua viltà. Comprimari: un re di Polonia che forse non è all’altezza della corona che porta sul capo, suo figlio esule ed esperto acrobata fra le corti, un Capitano Brodin degno compare di tradimenti e comandante di soldati marionette e… il pubblico, che partecipa suo malgrado alla congiura ordita dalla platea.

Come tutti i buoni testi teatrali, l’universo immaginato da Jarry ci permette in realtà di ritrovare caratteri umani universali che attraversano le epoche, rendendoli riconoscibili nel tempo che stiamo vivendo: oggi in giro ci sono parecchi Ubu, incapaci di prendersi le proprie responsabilità, di affrontare le conseguenze delle proprie azioni, da Donald Trump a Kim Jong Un, senza contare gli Ubu italiani. Czertok e Della Chiara hanno scelto la lettura più farsesca del testo e quindi questi caratteri vengono messi alla berlina permettendo quasi di esorcizzarli.

Un primo studio, incentrato sull’irresistibile ascesa della malefica coppia, parafrasando Brecht, era già stato realizzato nel settembre scorso in occasione della passata edizione di Internazionale, quando era stato il pubblico a entrare in carcere per assistere alla performance. Stavolta, invece, sono stati gli attori a trovarsi sulle tavole del palcoscenico del teatro comunale per narrare tutta la vicenda fino all’inevitabile epilogo.

Un notevole cambio di passo per la “Compagnia dell’Arginone”, come l’ha affettuosamente chiamata Czertok, una doppia sfida con sè stessi: non solo il mettersi alla prova con un testo di più di un’ora che richiede memoria e buone capacità dell’uso del corpo, visto che recupera senza dichiararlo la tradizione italiana della commedia dell’arte, ma farlo su un palcoscenico vero e proprio avendo solo una giornata per adattare e rimontare tutto il lavoro fatto in questi mesi fra le mura della casa circondariale.

Intelligenti gli omaggi musicali e le trovate comiche surreali, ma a stupire maggiormente è proprio la capacità di uso degli spazi – non solo il palcoscenico, ma anche la platea e i palchi – e la padronanza dei tempi degli attori in scena, grazie anche all’aiuto di alcuni collaboratori del Teatro Nucleo.

Una sfida superata dunque per la Compagnia dell’Arginone, che ha anche costruito le scenografie e che ora può vantare il proprio repertorio: oltre alle vicende degli Ubu, “Me che libero nacqui al carcer danno”, ispirato alla “Gerusalemme Liberata” di Tasso e al “Combattimento di Tancredi e Clorinda” di Monteverdi, e una nuova produzione sul tema “Padri e Figli” da elaborare nel prossimo biennio 2018-20.

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