Politica
6 Giugno 2018
Pd: "Una rivoluzione nelle politiche di welfare". M5s: "Migliorabile per la questione dei centri impiego". No da Lega Nord e Fdi

In Emilia-Romagna ora c’è il reddito minimo garantito

di Redazione | 4 min

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Con questa legge saremo “la prima Regione in Italia a introdurre il reddito minimo, una misura universalistica, non alternativa ma integrativa al provvedimento nazionale”. Lo annuncia Stefano Caliandro (Pd) in aula in Regione nel presentare all’assemblea legislativa dell’Emilia-Romagna il nuovo progetto a firma di Si, Pd e Misto-Mdp approvato anche dal M5s (contrari Lega Nord, Fdi, Misto-Mns e Forza Italia).

Una battaglia definita dal Dem, relatore della proposta, “giusta e a tutela degli ultimi, una rivoluzione nelle politiche di welfare”. La novità sta nel fatto che il reddito di solidarietà, introdotto nel 2016 in regione, verrà integrato con la misura nazionale partita appena dopo, e “la platea di beneficiari verrà così allargata”.

A disposizione 100mila euro, “risorse nostre che non verranno tagliate dal welfare né dai fondi per la formazione” spiega Caliandro. “I beneficiari aumenteranno”, specifica Igor Taruffi (Si), “perché verrà alzata la soglia di accesso da 3mila a 6mila euro di Isee e la durata del contributo passerà da 12 a 18 mesi. Si tratta – ha precisato – di un provvedimento rivoluzionario ma concreto, che aiuta molte persone e molte famiglie in difficoltà ad arrivare alla fine del mese.

“In Emilia-Romagna ci sono 240mila persone in stato di povertà assoluta e 400mila a rischio, ma la nostra lotta alla povertà non sarà solo economica” aggiunge Caliandro. Il provvedimento verrà infatti collegato anche alla riforma per i Centri per l’impiego, che prevede nuove assunzioni di personale.

“La nostra Regione ha voluto prestare un’attenzione ancora maggiore a chi si trova in situazione di difficoltà. Guarderemo cosa farà il nuovo governo nei prossimi mesi. Intanto, il reddito minimo in Emilia-Romagna non è più solo una voce del programma di mandato, ma una misura concreta”, ha sottolineato Paolo Calvano (Pd). Il sì arriva anche dal M5s, che nel 2016 si era invece astenuto sul reddito di solidarietà (Res).

“L’intento del Res, nato anche da una nostra proposta, era positivo ma rimaneva una forma di assistenzialismo” spiega Giulia Gibertoni. “Apprezziamo il fatto che ora con il reddito minimo – continua la pentastellata – verrà allargata la platea dei beneficiari, in quanto la soglia dei 3mila euro di Isee non era sufficiente per famiglie in stato di povertà e, soprattutto, verrà affrontata la questione dei Centri per l’impiego, con assunzione di nuovo personale”.

Quindi “riformulazione positiva” anche se, aggiunge la consigliera, “si poteva osare di più puntando sulla dignità e l’autonomia lavorativa piuttosto che sul sussidio”. “La nostra proposta sarebbe stata quella di garantire un sostegno alle persone a rischio povertà per formarsi professionalmente e immettersi di nuovo nel mondo del lavoro” spiega Andrea Bertani.

Aggiunge, in proposito, Silvia Piccinini, che “bisognerebbe modificare i nostri Centri per l’impiego perché diventino servizi realmente efficaci” visto che si tratta dei “principali mezzi di inclusione al lavoro”. Giuseppe Boschini (Pd) sul punto ricorda però che “in Italia ci sono almeno 3 milioni di disoccupati e 3 milioni di inattivi” e “i nostri centri per l’impiego non sono semplicemente di collocamento ma svolgono una funzione più complessa”.

La posizione della Lega Nord rimane invece immutata: no al reddito di solidarietà, “che era inefficace prima e continua a esserlo ora”. Daniele Marchetti smonta la “rivoluzione” annunciata da Caliandro, affermando che, in realtà, “la misura sarà a beneficio soprattutto di chi risiede da poco tempo in regione, ovvero gli stranieri, visto che i criteri di accesso creano una corsia preferenziale per nuclei familiari numerosi”.

Con l’adeguamento nazionale, lo strumento si appiattirà ancora di più, aggiunge il leghista, che ricorda anche i ritardi nell’applicazione del vecchio provvedimento. D’accordo su questo aspetto anche Giancarlo Tagliaferri (Fdi), che sottolinea come il reddito minimo vada ad aiutare non tanto gli ultimi quanto piuttosto “gli ultimi arrivati”.

Il consigliere propone quattro emendamenti, attraverso i quali chiede di escludere dal reddito minimo chi abbia redatto in precedenza atti falsi e chi abbia residenza anagrafica fittizia. Un’altra richiesta è di far decadere dal beneficio regionale i beneficiari del Res. Gli emendamenti, però, vengono respinti. Le posizioni di Lega e Fdi vengono criticate in Aula da Antonio Mumolo (Pd), che richiama l’attenzione sul “mito da sfatare secondo cui a ricevere gli aiuti siano solo stranieri: il 70 per cento dei fondi va agli italiani”.

Aggiunge Silvia Prodi (Misto-mdp): “Il reddito di cittadinanza non dovrebbe essere rivolto solo agli italiani”, perché i diritti sono di tutti. Dubbi sono espressi da Piergiovanni Alleva (AltraER), che si dichiara scettico verso questa “misura proattiva”. “Mi preoccupa pensare che il reddito minimo possa essere perso dopo un certo periodo di tempo se non è avvenuto l’inserimento lavorativo, sembra quasi vi sia una sorta di colpevolizzazione della persona”. L’assessore alle Politiche sociali, Elisabetta Gualmini, interviene in conclusione per commentare la positività di questa misura, nata proprio per andare incontro alle esigenze della nostra comunità regionale.

“Il reddito di solidarietà era stato introdotto per non lasciare indietro nessuno” afferma la vicepresidente della Regione, che sul Res ribatte alla Lega: “per 19mila famiglie è stata una misura efficace”. E sulla questione dei beneficiari stranieri aggiunge: “Mi sembra assurdo escludere categorie che presentano gli stessi requisiti”.

In aula, infine, acceso dibattito su un ordine del giorno a firma di Andrea Bertani, Silvia Piccinini (M5s) e Alan Fabbri (Ln) in merito al “reddito di cittadinanza” proposto dal Contratto nazionale del nuovo governo. I consiglieri M5s hanno chiesto di puntare soprattutto sul ruolo dei Centri per l’impiego. Il Pd, invece, ha rivendicato la necessità di definire anche per il reddito di cittadinanza un “approccio universalistico”. L’ordine del giorno è stato respinto.

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