Spettacoli
25 Marzo 2018
Seconda volta a Ferrara per il giornalista. Ali e Foreman protagonisti assoluti del suo spettacolo

Federico Buffa fa il bis al nuovo con “A night in Kinshasa”

di Redazione | 3 min

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di Davide Soattin

Atmosfera leggendaria e cascata di applausi carichi di ovazione finale per Federico Buffa ed il suo “A night in Kinshasa”, spettacolo dalle mille emozioni e dai molteplici significati in grado di trascinare il pubblico del Teatro Nuovo in un viaggio spazio-temporale a ritroso fino agli anni sessanta e settanta, ripercorrendo non solo le dinamiche dell’incontro epocale tra Muhammad Ali e George Foreman ma anche quelle sociali, politiche e culturali dell’epoca.

L’incontro tra due mostri sacri della boxe internazionale infatti, come si evince dalla sceneggiatura e dalla regia di Maria Elisabetta Marelli, è anche il pretesto per mettere in scena uno spaccato degli anni in cui a dominare principalmente il panorama mondiale sono il problema degli autoritarismi africani, la guerra in Vietnam e la speranza di riscatto data dai movimenti in occidente per la pace e i diritti civili. E’ ben evidente, dunque, che la storia di Ali contro George non può rimanere limitata all’ambito sportivo ed estranea a tutto questo, soprattutto, se per la gente di Mobutu, dittatore spietato dello Zaire e organizzatore della sfida del secolo, il primo è il nero d’Africa che torna dai suoi fratelli a discapito del secondo, nero non ostile e complice dei bianchi.

Dopo l’exploit datato 2016 e intitolato “Le Olimpiadi del ‘36”, la voce storica della palla a spicchi ha nuovamente fatto breccia nel cuore di un cospicuo numero di appassionati con un’ora e mezza abbondante di puro intrattenimento in cui, abile a sfoderare le proprie doti di one man show nell’accompagnare una narrazione ricca di acuti e mai monotona, lo storyteller di casa nostra è riuscito attraverso una spigliata bravura oratoria a mantenere lo spettatore incollato alla propria poltrona, grazie anche al ritmo incalzante e deciso dato dalle percussioni e dal pianoforte di Alessandro e Sebastiano Nidi che hanno contribuito a trasformare fisicamente e uditivamente la scena in un ring.

Al posto del sipario cinque corde simili a quelle del quadrato di sfida, tirate dallo stesso Buffa in maniera graduale, quasi a rappresentare l’ideale avanzamento del racconto fino al momento catartico dell’incontro, sottolineato e amplificato da una colonna sonora di sottofondo composta principalmente da rulli di tamburo dal carattere tribale e da quelle stesse voci che, nell’autunno del 1974, intimavano insistentemente al campione di Louisville di uccidere il suo avversario come simbolo di rivincita, al grido di “Ali boma yè”.

Ed ecco che il pubblico viene catapultato in una dimensione parallela in cui è protagonista attivo e non più passivo, dove può udire i battiti del cuore dei due personaggi e immergersi nelle frasi più significative pronunciate prima di quella sfida che, come sentenze inamovibili e inconfutabili, risuonano e appaiono scritte nero su bianco alle spalle di chi il palco lo ha dominato per l’intera serata nel raccontare la vicenda di due sportivi allo stesso tempo sia lontani che vicini, inaspettatamente capaci di comportarsi come uomini comuni, ingenui e saturi di umanità.

La stessa umanità e ingenuità che si evince dall’epilogo della vicenda narrata quando, dopo aver strappato le corde che stavano a delimitare il ring immaginario ed essersi comodamente appoggiato come farebbe un qualsiasi cantante blues americano al pianoforte, l’“Avvocato” si esibisce in una delle sue magiche interpretazioni, riportando in vita una celebre conversazione telefonica tra i due pugili, rincontratisi anni dopo la sfida nell’allora Zaire e intenti a dare a chi ascolta un insegnamento tutt’oggi valevole per la società intrinseca di odio e fanatismo in cui viviamo, visto che, in fin dei conti, come afferma nel pieno della sua conversione religiosa Ali dall’altra parte della cornetta, è “inutile che stiamo qui a parlare di Dio e Allah nel momento in cui siamo tutti figli di uno stesso Creatore e semplicemente lo serviamo in maniere diverse”.

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