Attualità
27 Gennaio 2018
Il portiere della Spal: "La mia storia non facile ma felice, a Ferrara mi sento a casa: ho trovato persone cortesi e disponibili"

‘Umanità’, storie di migrazioni e certezze sgretolate a Casa Romei con Gomis

di Redazione | 5 min

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“Casa Romei si apre a chiunque e nella sua storia ha sempre accolto: nel 1872 il Reno ruppe gli argini e qui furono accolti almeno 15 nuclei familiari. Anche con questi eventi Casa Romei si apre a nuovi stimoli”. A dare il benvenuto a Umanità, associazione che si prefigge di aprire un nuovo fronte di discussione — ragionato — sulle migrazioni è innanzitutto il direttore del museo, Andrea Sardo, che nelle sale della residenza patrizia ha accolto anche una mostra che ha l’obiettivo di “dare spunti e far ragionare” più che di impressionare. Esattamente come l’associazione che, per dirla con le parole dell’assessore Sapigni “tratta un argomento non semplice e non gettonato scegliendo l’approfondimento senza lanciare frasi spot” in una città in cui “il fenomeno è agli inizio, con una presenza visibile degli stranieri che dura da meno di vent’anni, e nella quale momenti di riflessione sono necessari”.

L’assocazione, che si presenta alla città con una presentazione ‘smonta-miti’ sulle migrazioni a cura del direttore esecutivo dell’Ispi Paolo Magri, conta tra i suoi iscritti anche un socio onorario di eccezione, il portiere della Spal Alfred Gomis, senegalese, invitato a raccontare la sua storia “difficile ma felice”, e si dà immediatamente un taglio che rifugge gli slogan: “Il problema dei flussi migratori è forse il più grave che il mondo sta affrontando, durerà decenni ed è complicatissimo. Bisogna comprendere che sono fenomeni inarrestabili perché i migranti sono motivati a spostarsi in qualunque condizione per problemi politici ed economici, e parlare di bombardare navi o fare muri non aiuta”, spiega in apertura il presidente dell’associazione Francesco Ferroni che poi nota come il nome ‘Umanità’ sia pesante ma se lo sono dati lo stesso “perché siamo convinti che il problema sia grave e guardando al significato etimologico della parola si percercepisce che questi argomenti non vengono affrontati”.

La parola passa quindi ai numeri, snocciolati da Magri, che prima premette tre cose: primo, “coi dati si rischia di dare un approccio freddo, quando ognuno di questi numeri rappresenta storie”; secondo, “possiamo dare numeri ma non ricette, che non ha nessuno”; terzo, “il fenomeno è molto complesso e chi presenta soluzioni facili in un senso o nell’altro, che sia di chiusura o di accoglienza illimitata, vi sta raccontando palle, perché parlando di migranti si mescolano cose diversissime tra loro”. Detto questo, si può passare a sfatare le credenze della vulgata, una ad una, con l’aiuto delle diapositive che scorrono di fronte alla platea: “Innanzitutto la maggior parte dei migranti non arriva coi barconi ma con un aereo e un visto turistico, poi fa perdere le proprie tracce. E la maggioranza dei migranti non arriva da paesi extraeuropei, ma se sono francesci ci vanno bene, se sono rumeni o bulgari no. I rifugiati poi sono una parte piccolissima del problema: sono 23 milioni nel mondo e l’Europa ne ha in carico solo un quinto, con la maggioranza dislocati in medio oriente e in Africa”, dicde Magri facendo poi l’esempio di Paesi come Libano e Giordania, dove tra popolazioni poco numerose e flussi inimmaginabili si è arrivati ad avere più figli di rifugiati che di cittadini residenti.

Ancora: “Durante la crisi degli sbarchi abbiamo ricevuto 100mila persone, tante quante ne accolgono i lidi ferraresi durante una stagione turistica”, e poi: è vero che gli sbarchi sono concentrati sulle coste italiane ma questa è solo una parte della migrazione, tanto che ai tempi dell’apertura della rotta balcanica sono calati di tre quarti; è vero che la maggior parte sono migranti economici perché solo il 40% degli immigrati fa richiesta di asilo, ma non c’entrano niente né col terrorismo — gli attentatori richiedenti asilo o residenti illegalmente nei Paesi corrispondono, sommati, all’11% dei casi, anche se è vero che le seconde e terze generazioni di immigrati sono predominanti — né con l’aumento della criminalità — sono il 33% della popolazione carceraria contro l’8.3% della popolazione residente ma nonostante l’aumento degli stranieri il trend delle denunce contro di loro è stabile o in discesa dal 2007. Poi c’è la questione della temporaneità del problema, che non lo sarà: le proiezioni mostrano che nel 2050 l’Africa subsahariana conterà due miliardi di abitanti, con la sola Nigeria che arriverà ad avere la stessa popolazione dei 28 Paesi Ue. In tutto questo, oltre alle preoccupazioni degli italiani — l’immigrazione se la gioca con la minaccia nucleare nordcoreana nelle notizie più preoccupanti dello scorso anno secondo una rilevazione di Ipsos — è vero che l’Europa non aiuta, ma “a dirla tutta abbiamo negoziato la procedura d’infrazione per il rapporto debito-pil troppo elevato con la questione migranti, quindi è vero che non sono arrivati fondi ma ci è stato permesso di spendere senza le conseguenze del caso”, conferma Magri.

A smontare altre tesi di luogo comune ci pensa anche il vicario generale della diocesi di Ferrara-Comacchio, Massimo Manservigi, che racconta come “un dato significativo e intriso di razzismo è che si dice che siamo invasi da musulmani, mentre la maggioranza dei migranti è cristiana: fino al 2007 erano il 40%, da allora sono la maggioranza assoluta”, e per questo “ci sono spazi per una pacifica convivenza e per dare spazio a tutti: la religione è prima di tutto uno strumenti di pace, se la sappiamo usare in maniera corretta può aiutarci nell’integrazione”.

Infine, tocca alla storia personale di Gomis. Lui ha seguito il padre, arrivato per primo in Italia per un provino per una squadra di calcio andato male finché non si è trasferito a Cuneo “dove ci ha spianato la strada, faceva l’asfaltatore”. La sua è stata un’integrazione non facile: “Siamo arrivati con un aereo, abbiamo abitato in una casa che forse bastava per 2 persone ma ci siamo rimasti in quattro e ci siamo dati molto da fare, lui si è spaccato la schiena e ci ha passato la passione per il calcio. A cinque anni ho iniziato a giocare nel Cuneo e a otto sono passato alla scuola calcio del Torino. È iniziata la trafila e ho iniziato a girare per l’Italia. Se nel calcio hanno dovuto mettere una regola per il razzismo territoriale all’interno dell’Italia pensate come sia facile pensare quanto sia difficile accettare lo straniero. Poi fortunatamente la mai storia è stata non facile ma felice, a Ferrara mi trovo bene e ho trovato persone molto cortesi e disponibili, e dopo aver girato tanto l’Italia ho trovato un posto dove mi sento un po’ a casa, con la mia tranquillità”.

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