di Cecilia Gallotta
Proseguono gli appuntamenti che tengono viva la memoria di una delle pagine di storia più significative per il genere umano, quella della Shoah, con Mirella Serri, giunta da Roma al Meis di Ferrara martedì sera per rivivere la vicenda di settantare ‘Bambini in fuga’, titolo del suo ultimo libro, uscito gli ultimi mesi dell’anno appena trascorso.
“Della vicenda dei bambini di Nonantola se n’è parlato – esordisce la direttrice del Meis Simonetta Della Seta – ma non come ne parla Mirella”. E’ difatti un romanzo storico quello che Serri tesse tra le rocambolesche vicende dei giovanissimi protagonisti, tutti tra i 6 e i 18 anni, che si trovarono ad attraversare Germania e Slovenia dopo essere scappati dal Reich, chi perché orfano, chi perché lo sarebbe diventato di lì a poco, per poi approdare a Nonantola, in provincia di Modena, dove gli abitanti avrebbero fatto di tutto per tenere i ragazzi in salvo fino all’occupazione della cittadina, e alla consecutiva speranza in un loro espatrio in Svizzera.
“Il libro intreccia tre storie – spiega l’autrice – quella dei bambini, dei loro persecutori, e degli eroi che li salvarono”. Ed è in uno dei loro persecutori che si ritrova l’elemento ‘nuovo’ della vicenda, nella denuncia di pagine di storia seminascoste “persino agli storici più bravi di cui potrei fare anche i nomi”, riporta Serri. Uno spaccato che rimanda la vicenda ebraica al fondamentalismo islamico, attraverso la figura del Gran Mufti, “la cui presa di posizione negli anni della guerra ha condizionato la vita di tantissimi ebrei e non solo”.
Amin al-Husseni, membro delle grandi famiglie palestinesi, “nel nostro immaginario è un personaggio che si colloca nella realtà di Gerusalemme – analizza l’autrice – ma che tra il ’39 e il’44 venne incaricato ad ostacolare l’espatrio e la fuga degli ebrei. In altre parole, per diretta conseguenza, viene incaricato di assicurarsi che gli ebrei finissero nei campi di concentramento”.
Un ruolo determinante, che affonda le sue radici in una mera convenienza politica, dal momento che la figura del Gran Mufti, altro non rappresentava che l’autorità islamica responsabile della corretta gestione dei luoghi santi. “Al-Husseini era convinto che un giorno o l’altro sarebbe tornato in Palestina, e avrebbe detenuto il potere – prosegue Serri – e dal momento che i tedeschi avrebbero invaso la Palestina, meno nemici c’erano e meglio era”. E della sua alleanza filo-nazista, ne parla l’accoglienza a braccia aperte da parte di Mussolini, dopo che Husseini fu colpito da un mandato di cattura britannico, a seguito del quale scappò proprio in Italia.
Storie nelle storie, storie ebraiche e non, lontane eppure vicine, si rincorrono in un filo diretto e parallelo ai giorni nostri. Facendo luce su come “le redini del mondo arabo siano sempre state trainate da leader estremisti e radicali” afferma l’autrice, che vede nella figura del Gran Mufti una sorta di ‘padre’ del fondamentalismo: “pensate che uno dei suoi allievi avrebbe poi compiuto l’attentato di Monaco”, protagonista dell’omonimo fil di Spielberg del 2005.
E anche il coraggio della popolazione di Nonantola, “a parlarne adesso, sembra scontato: ma a quell’epoca Nonantola era una cittadina di un Paese in guerra, e per di più di regime. Oggi ci si fa tanti problemi a parlare di accoglienza, ma in quegli anni accogliere voleva dire privarsi di cibo, degli abiti, e soprattutto rischiare la vita”.
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