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22 Gennaio 2018

Viriditas, la forza della natura di Olimpia Biasi

di Redazione | 5 min

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di Maria Paola Forlani

Promossa dall’Università di Padova, si è aperta nell’Orto Botanico la mostra dei più recenti lavori di Olimpia Biasi, aperta fino al 1° maggio 2018, a cura di Virginia Baradel.

Dal visionario universo di Ildegarda di Bigen alla rappresentazione vitale del sapere naturalistico; dell’espressività informale alle opere che, recuperando il valore del fare femminile, esprimono il mistero della natura e dell’infinito.

“Natura è ciò che conosciamo ma non possiamo esprimere. La nostra saggezza è impotente di fronte alla sua semplicità” (Emily Dickinson)

Viridità, ovvero la forza della natura; quel brivido vitale presente in tutte le creature, che rende sottili le differenze tra animale e vegetale, perfino tra animato e inanimato.

“Viriditas” è il titolo scelto da Olimpia Biasi (Treviso 1947) per raccontare nella sua ultima fase creativa, quell’universo in cui oggi confluiscono visioni cosmiche, linfa e umori di sapore medioevale e le nuove frontiere del sapere naturalistico; una natura magmatica e pulsante, arti femminili e poteri ancestrali e un mondo animale di antica potenza.

La mostra si pone in dialogo con il luogo sia attraverso le opere collocate negli spazi espositivi interni – le garze, gli erbari, i disegni, i teleri – sia con tre mirabili installazioni inserite all’aperto, tra gli alberi, le piante e l’acqua.

Concentrato di varietà botaniche e conoscenze scientifiche e filosofiche, di sapienze medicinali e influenze esoteriche, l’Hortus Patavinus (primo orto botanico universitario al mondo, istituito nel 1545, e da vent’anni Patrimonio Unesco) ben si presta infatti a far emergere le suggestioni che muovono la creatività della Biasi in questa più recente stagione.

Suggestioni che riverberano nei suoi lavori, ove il viscerale amore dell’artista per la natura – lo stesso che la spinge a prendersi cura di un meraviglioso giardino-ispiratore nella sua casa atelier di Lovadina – non si traduce in mimesi, bensì nella ricerca profonda del “senso”, di quell’essenza che è interiore e universale.

Questa sua creatività in mostra prende due strade: quella dell’espressività informale, già indagata da diversi anni, e la tessitura di forme leggere (le Garze), composizione aeree, blande nel peso, fluide nelle tracce ma precise nel dettaglio.

Garze popolate di figure che appartengono alla natura ma sono sottratte ad ogni forma di naturalismo come se la natura tornasse regno e visione e dimenticasse di essere stata sfondo e veduta; vere quanto le “creature” di Ildegarda di Bingen, la mistica tedesca da cui provengono i fili dell’immaginazione, che affiancati dal fare manuale e sollecito del lavoro femminile e di cultura ispirano gli ultimi lavori della Biasi.

Nel Liber divinorum operum, in particolare nella visione II, che corrisponde ad una vera e propria sintesi cosmologica di Ildegarda di Bingen, compaiono alcuni animali a simboleggiare i venti che, soffiando nel creato, ne assicurano la circolazione ed il sostegno vitale, influenzando anche gli umori corporei dell’uomo e delle creature viventi. I quattro venti-animali principali sono il leopardo, il leone, il lupo, l’orso, affiancati ciascuno da due venti collaterali, che si ripetono a coppie: granchio e cervo, agnello e serpente.

Queste immagini Olimpia Biasi li descrive con segno forte, nero dinamico di visionarietà. Il disegno è, per sua natura di segno lineare, affine all’incisione, prova di perizia e di riscontro concettuale per la Biasi che con la linea e il tratteggio, solco o traccia di grafite, lavora in negativo evocando figurazioni che la luce argina e confina. Più della forma colore, questa dimensione di ricerca cela un indizio di profondità investigativa che va oltre le apparenze, una visionarietà capovolta che spigola nel mondo delle ombre. E che di fatto si pone come antecedente al processo che inoltrerà la ricerca aldilà del visibile, approdando alle creature di Ildegarda.

Signore, dammi per tua forza il dono del fuoco,

che in me estingua la passione della perversità, per

bere con giusti sospiri all’acqua della fonte viva,

che mi faccia godere della vita eterna, io che sono

cenere e polvere, che guarda più alle opere delle

tenebre che a quelle della luce.

Ilfegarda Di Bighen, Scivias, Visione X

La pittura della Biasi porge schermo alla potenza della natura, al suo travolgente impatto sensoriale. I colori si accendono e si dispiegano senza remore compositive, tanto meno figurative. Il prodigio di sganciare la pittura dalla figura e persino dalla forma definita, e di penetrare dentro alle “viscere della pittura”, cioè della materia e, nello stesso tempo, della luce cromatica che sintetizza il valore proprio di ogni colore. Tutto ciò diventa espressione, stesura e andamento che, non è altro, che il percorso della pittura del ’900.

Paradossalmente, bisogna dire che di natura si è occupato anche il surrealismo.

Inizialmente i surrealisti tentano la via difficile e affascinante dell’espressione impremeditata (non mediata, cioè, da consapevolezze razionali o culturali) dell’inconscio; una sorta di <<presa diretta>> fra la fantasia e la mano. Ciò avviene nelle prove di <<scrittura automatica>>, spesso ricami inconsci di segni e di parole, proprio come i lunghi rotoli di nylon di Olimpia Biasi composti di segni, macchie acquose, gorghi di luce, tra le trasparenze avvolgenti della natura.

La scrittura automatica surrealista trovò, poi, una splendida realizzazione pittorica con l’Action Painting americana, così come Biasi nei suoi teleri fatti di frammenti esplosivi e rilevanti di colore materico, con fondi ruvidi e sgranati, ripercorre l’azione libera e svolge suggestivi interventi nell’atmosfera impressionata, che sembra, quasi, evocare la terra in un cromatismo sempre fluente, per coglierne il dinamismo della metamorfosi della natura e delle stagioni.

È il big bang dell’immaginario sub-visibile o sovra-visibile ed è la sperimentazione con le Garze di un medium in grado di incontrare l’universo mistico di Ildegarda.

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