“La madre se avesse saputo fare la madre non avrebbe allevato un ‘cucciolo di maiale’ ma un uomo”. La frase shock contro Patrizia Moretti, mamma di Federico Aldrovandi, fu diffamazione. Lo sentenzia il tribunale di Ravenna che ha condannato l’autore – Sergio Bandoli, ravennate di 54 anni – ad un pena di sei mesi per le offese diffamanti che scrisse nel giugno 2012 sulla pagina Facebook di Prima Difesa Due, associazione che assisteva legalmente i poliziotti condannati per l’omicidio colposo del diciottenne ferrarese.
Un paragone animalesco, brutale, sprezzante. La madre sporse querela e partirono le indagini. Poi i processi seguiti dalla stessa Moretti come parte offesa. Lei avrebbe anche evitato di arrivare alla sentenza, dichiarandosi disposta a ritirare la denuncia se l’imputato avesse formalizzato le sue scuse e offerto una donazione a un ente benefico nel nome di Aldro.
Bandoli, agricoltore di Cotignola, non solo rifiutò l’offerta, ma alla sbarra dichiarò di essere stato hackerato. Insomma, quella dichiarazione shoccante sui social non l’aveva scritta di suo pugno ma era colpa di un’intrusione esterna. Una tesi difensiva non provata, anche se la procura di Ferrara raggiunse – tramite una rogatoria internazionale – la sede della società Facebook, in California, per accettare la paternità del messaggio. Come in tanti altri casi di diffamazione, il colosso statunitense dimostrò l’impossibilità di accertare l’identità di chi scrive e il computer usato.
Il fascicolò passò a Ravenna. Il pm Daniele Barberini affidò il compito di esaminare il pc ‘incriminato’ alla polizia postale, la quale confutò la tesi di un attacco hacker. Ma il computer fu ‘scagionato’ in quanto non era il mezzo utilizzato per postare l’offesa. L’avvocato difensore Nicola Montefiori presentò quindi la richiesta di assoluzione, rigettata dal giudice Federica Lipovscek che martedì mattina ha condannato Sergio Bandoli a sei mesi con pena sospesa.
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