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9 Dicembre 2017
Renè Paresce, Campigli, de Chirico, de Pisis, Savinio, Severini, Tozzi in mostra

Italiani a Parigi

di Redazione | 5 min

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Genius Bononiae. Musei della Città presenta presso il Museo e l’Oratorio di Santa Maria della Vita fino al 25 febbraio 2018, la mostra Renè Paresce. Italiani a Parigi. Campigli, de Chirico, de Pisis, Savinio, Severini, Tozzi, a cura di Rachele Ferrario (catalogo Bononia University Press).

Renè Paresce nasce nel 1886 in Svizzera a Carouge. Trascorre l’infanzia e l’adolescenza a Firenze, aggiornandosi sulle ricerche più avanzate di artisti fiorentini come Ardengo Soffici. Dopo la laurea in Fisica all’università di Palermo, rinuncia alla carriera scientifica per dedicarsi alla pittura e al giornalismo (dagli anni Venti sarà corrispondente da Londra per il quotidiano “La Stampa”).

Nel 1912 si trasferisce a Parigi, dove dal 1925 al 1930 entra a far parte del gruppo degli italiens de Paris. Abile tessitore di relazioni con gli artisti della Parigi di Montparnasse, Paresce frequenta i Caffè e partecipa alle animate discussioni sulle novità della pittura, entrando in contatto con personalità di spicco della Ville Lumiére degli anni Venti e Trenta, che raccoglie intorno a sé artisti da tutto il mondo, in particolare dall’Europa. Nel 1928 proprio Paresce è incaricato da Antonio Maraini, che presiede la Biennale di Venezia, di scegliere gli artisti stranieri che vivono a Parigi per la sala della XVI edizione della Biennale di Venezia. Dal 1928 al 1933 Paresce espone a tutte le principali mostre del gruppo degli Italiens de Paris in Italia e all’estero, fedele a una propria fisionomia stilistica, e intesse rapporti con la Galleria il Milione a Milano, centro propulsore di idee innovative. Muore a Parigi nel 1937, dopo un avventuroso viaggio alle isole Figi, che compie passando per le Americhe.

La figura di Renè Paresce è singolare nella storia dell’arte italiana e francese. A Parigi fin dal 1912 Paresce conosce Modigliani e Picasso, frequenta gli artisti dell’Ėcole de Paris, di cui fanno parte i metechi – gli stranieri come li chiamano con un certo disprezzo i francesi – che provengono da tutto il mondo ed eleggono Parigi a loro patria. Dal 1928 entra a far parte degli Italiens de Paris, in contatto con Mario Tozzi, l’anima organizzatrice del gruppo, e con Campigli con cui condivide il giornalismo oltre alla passione per la pittura.

A Parigi Paresce ha dipinto molte delle sue tele, ha frequentato artisti italiani e stranieri, ha vissuto da protagonista gli avvenimenti artistici della città di quegli anni, facendo da tramite nei rapporti tra gli autori italiani e di altri paesi europei, che avevano eletto Parigi a loro patria.

La mostra organizzata a Bologna in Santa Maria della Vita, colloca Paresce al centro del dibattito dell’arte italiana tra le due guerre a Parigi e ne approfondisce il ruolo nel gruppo de Les Italiens de Paris e nell’ambito della cultura europea.

La mostra che si snoda negli spazi espositivi del Museo e Oratorio di Santa Maria della Vita, si basa sulle ricerche filologiche e storico artistiche sulle opere di Paresce e del gruppo de Les Italiens condotte negli ultimi quindici anni.

La curatrice ha selezionato 73 opere che raccontano la storia della sfida lanciata da Les Italiens nell’ambito artistico parigino, già attraversato dalle avanguardie e dal rappel à l’ordre, con una pittura che guarda alla tradizione italiana e la reinterpreta in una dimensione classica e onirica. I protagonisti furono alcuni tra gli inventori più sorprendenti della mitologia e di un’arte legata all’idea di mediterraneità.

La mostra ricostruisce la storia espositiva degli Italiani a Parigi quando è stato possibile con le stesse opere delle esposizioni parigine del gruppo. La sezione dedicata a René Paresce propone una scelta di dipinti (olio su tela e gouaches) e disegni, mentre la parte sul gruppo degli Italiani a Parigi, è una selezione di de Chirico, de Pisis, Severini, Campigli, Tozzi, Savinio, provenienti da importanti collezioni pubbliche.

Scuole frequentate? Grazie a Dio nessuna. Non ho mai varcato la soglia di un’accademia []. Le nozioni di tecnica le ho apprese da ragazzo rimanendo intere mattinate a lato di un copiatore di quadri in galleria, per sorvegliare i misteriosi movimenti del pennello dalla tavolozza alla tela”.

Così scrive Paresce nel 1933 nel catalogo della sua prima e unica mostra personale in Italia a Milano alla Galleria il Milione.

La sua è un’operazione critica. Lui che conosce i colori da fisico, la politica e la cultura internazionali da giornalista, può essere pittore solo grazie a un travestimento: come quando con la moglie gioca a indossare abiti femminili (e lei maschili), il Paresche pittore indaga la realtà da fisico e la reiventa da artista.

Per lui l’arte è pura invenzione, “arte di laboratorio”. Sa che la pittura vera è composta da soggetti semplici Nella dimensione della tela Paresce scopre e mette in scena più elementi, simboli, intuizioni. “La realtà è una disgrazia inevitabile, bisogna usare ogni mezzo per non rappresentarla”. Come del resto fanno de Chirico e Savinio, Tozzi e Campigli, de Pisis e Severini. La realtà “va abbandonata a scienziati e fotografi. E dimenticavo di dire agli storici dell’arte della scuola di Vasari”, scrive Paresce. “Sono forse un illusionista come furono Paolo Uccello, Giotto e Picasso e de Chirico”.

Intellettuale colto, a Paresce non importa l’estetica, importano lo statement (la dichiarazione) e la pittura. “Cè l’artista che somiglia alla sua opera (o viceversa se si vuole) e quello che pudibondo se ne fa una maschera. Psicanalisi. Pirandellismo. Ci penso volendo scrivere di Paresce e dell’arte sua” – scrive Campigli. Paresce, infilati gli occhiali da alchimista, accarezzando un pennello di cedro del Libano, preparato con gesso d’oro centenario, lo avverte: “Tredici velature su fondo di tempera mi hanno dato questo rosso prezioso”.

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