“Il ricordo di quel giorno? Un giorno inverosimile”. Inizia così il racconto di Francesca, 29 anni, secondogenita di Valerio Verri, la guardia volontaria uccisa da Norbert Feher, alias Igor Vachlavic. Lei e il fratello Emanuele, 38 anni, parlano davanti alle telecamere del TG1.
Francesca ha appreso della notizia della sparatoria a Trava di Portomaggiore da Facebook. Non sapeva ancora che suo padre era stato colpito mortalmente. “Ho preso subito la macchina e sono andata a cercarlo”. E intanto continuava a comporre il suo numero all’impazzata. Finché non raggiunge il luogo dell’omicidio. “Sentivo il suo cellulare che continuava a squillare. Sapevo che era lì. In quel momento l’unica speranza è che l’avessero portato via in ambulanza lasciando il telefonino sul posto”.
Emanuele parla di Igor, “una persona che doveva essere fermata da molto tempo” e alla quale invece “è stata data la possibilità di fare quello che voleva”. “Sarà probabilmente vero quello che tutti dicono – continua -, che è preparato, che ha sempre vissuto in quell’habitat, ma l’avevano già in mano…”
Quale speranza avete? chiede l’inviata Carolina Casa. “Le speranze incominciano ad appassire – sospira Emanuele -, voglio però che lo prendano”. Francesca pensa alle centinaia di uomini dei carabinieri stanziati tra Campotto e Marmorta: “credo in loro, devo credere in loro. Sono la mia forza, perché quello che mi rimane è poco. La mia speranza è chiara: è quella che si augurano tutti, che lo prendano”.
Poi il pensiero corre al padre che ormai non c’è più. “Vogliamo capire come è andata quella sera, cosa è successo e mio papà e perché. Di domande ne abbiamo fatte tante, di risposte ne abbiamo ricevute poche. Ma la vita di mio papà non finisce l’8 aprile. Lui ha dedicato la vita agli altri, prima ancora di diventare guardia volontaria, il suo pensiero era sempre rivolto ad aiutare gli altri, sempre rivolto alle cose giuste”.
La famiglia Verri si è affidata all’avvocato Fabio Anselmo, per capire cosa non ha funzionato quel giorno, come mai una guardia volontaria disarmata fosse in un posto tanto pericoloso dove si immaginava che potesse nascondersi il killer che aveva colpito pochi giorni prima a Budrio.
“Va fatta chiarezza – afferma Anselmo – rispetto a tutto quello che è successo quella sera, a partire dai fatti di Consandolo per arrivare all’8 di aprile”. Il riferimento dell’avvocato è all’aggressione con sparatoria del 29 marzo, quando “Igor” aggredì una guardia giurata della Securpol in provincia di Argenta e si impossessò della sua pistola, la stessa con cui due giorni dopo venne ucciso Davide Fabbri.
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