Cronaca
7 Dicembre 2016
Il pm: “In tanti anni non mi è mai capitato un caso di maltrattamenti così pesanti”

Botte e umiliazioni alla moglie, condannato medico

di Redazione | 2 min

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index1“In tanti anni non mi è mai capitato un caso di maltrattamenti così pesanti”. Suona come una condanna morale, prima ancora che giudiziaria, quella del pm Giuseppe Tittaferrante, che in sede di requisitoria ha chiesto tre anni e due mesi per Adnan Oubari, medico di 57 anni residente nel Ferrarese.

E il giudice Alessandra Testoni ha accolto in toto l’impianto accusatorio, così come la richiesta, aggiungendo alla pena detentiva una provvisionale di 15mila euro e il risarcimento da quantificarsi eventualmente in sede civile nei confronti della moglie, una trentenne di origine tunisina, costituitasi parte civile attraverso l’avvocato Marinella Ricucci.

I fatti contestati avvengono dal dicembre 2012 all’aprile 2013. I due si conoscono attraverso una chat per incontri matrimoniali. Lei vive in Tunisia. Il feeling è immediato. Si conoscono, si piacciono, si sposano. La moglie raggiunge il marito in Italia nell’ottobre 2012. Presto però emerge un altro scenario per la novella sposa. Uno scenario fatto di botte, umiliazioni, bruciature di mozziconi di sigaretta, una vita confinata entro le mura domestiche.

La donna finisce anche due volte al pronto soccorso con lesioni di vario tipo. Tutte autoinflitte, secondo l’imputato. Anche quelle riscontrate dai medici in ospedale. Secondo il marito se le sarebbe procurate lei stessa nei bagni dell’ospedale prima della visita. “Inverosimile” secondo la pubblica accusa: “se non avesse avuto niente carabinieri e 118 non l’avrebbero nemmeno trasportata al nosocomio”.

Tutti dettagli raccontati dalla stessa vittima, prima al Centro donna e giustizia di Ferrara che l’ha accolta (e le ha fatto imparare l’italiano, “privilegio” che prima le sarebbe stato impedito dal marito), poi da una psichiatra dell’Asl (che in aula ricorderà come la donna “piangeva continuamente, era una persona distrutta, affetta da un disturbo post-traumatico da stress”) e infine in tribunale.

Il racconto della trentenne parla di percosse, lividi, bruciature, richieste di rapporti a tre, telefonate alla famiglia condizionate dalla presenza di lui, lavori domestici i più duri, nessuna relazione sociale. Ogni disobbedienza meritava il digiuno e la notte all’addiaccio in giardino. In mezzo anche un aborto, dal momento che, ricostruisce il pm, “i maltrattamenti sono avvenuti anche nel periodo di gravidanza, anche se non è possibile stabilire con certezza un nesso di causalità tra ferite e morte del feto”.

L’imputato si è sempre difeso sostenendo che quei racconti erano frutto di fantasia. E i segni delle lesioni? ferite che lei stessa si è procurata.

Ora è necessario attendere 90 giorni per il deposito della sentenza, dopo il quale la difesa potrà valutare l’appello.

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