(foto di Alessandro Castaldi)
di Serena Vezzani
“Perchè sì, perchè no. Due opinioni a confronto sulla Riforma costituzionale”: questo il titolo del dibattito tra ‘pezzi da novanta’ nell’aula magna del dipartimento di giurisprudenza, che ha visto una altissima partecipazione di pubblico: quasi mille le presenze che hanno costretto la proiezione in streaming del dibattito in alcune aule del dipartimento.
Protagonisti Valerio Onida, presidente emerito della Corte costituzionale, e Luciano Violante, presidente emerito della Camera dei deputati. A presiedere Giovanni De Cristofaro, direttore del dipartimento di giurisprudenza, con il coordinamento di Giuditta Brunelli, costituzionalista di Unife.
Schierati ora su fronti opposti, i due giuristi hanno fatto parte del gruppo di lavoro sui temi istituzionali nominato dall’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nel marzo 2013, e in seguito della Commissione per le riforme istituzionali costituita dal governo Letta e presieduta dall’allora Ministro per le riforme Quagliariello. Valerio Onida è inoltre autore dei due recenti ricorsi, uno al Tar del Lazio e uno al tribunale civile di Milano, con cui chiedeva l’annullamento, previa sospensione, del decreto del Presidente della Repubblica di indizione del referendum.
Non c’era la necessità “impellente”, per Onida, di istituire la Riforma costituzionale: “le accuse che sia obsoleta, vecchia e sorpassata indeboliscono e appannano il senso stesso di quella che deve essere la Costituzione di uno Stato”. Sì, dunque, a una “revisione”, a “interventi di manutenzione su singole tematiche”; no a un suo “superamento”. Non la pensa così Violante, che ha chiamato in causa la crisi dei partiti, “incrinatisi dagli anni ’80”: ecco, allora, che si è presentato il problema di riassegnare “le materie affidate originariamente a loro dall’assemblea costituente e mantenute fuori dalla Costituzione, come la stabilità dei governi, la rapidità delle decisioni politiche, i principi della legge elettorale”. E “se se ne discute da trent’anni, una ragione ci sarà”.
Si è parlato poi di superamento del bicameralismo paritario e composizione e funzione del nuovo Senato: è d’accordo sulla differenziazione delle due camere Onida, ma non sulla semplificazione dell’esecutivo. “Nonostante non si faccia il salto avanti del cambiamento della forma di governo, passiamo da un sistema parlamentare democratico basato su assemblee e maggioranze, a una democrazia d’investitura”. E i cinque senatori di nomina presidenziale “sono in proporzione agli altri novantacinque un numero piuttosto grande”. Senza contare “che il Senato non può essere l’espressione dei partiti, deve essere la voce delle regioni”.
Diametralmente opposto il parere di Violante: “I cittadini andranno a votare due schede: la prima per l’elezione e per il rinnovo dei Consigli regionali e del nuovo presidente della Regione, la seconda per scegliere i senatori assegnati a quella Regione, in conformità alle scelte dell’elettore sui Consigli regionali”. Ha ribadito inoltre la permanenza di alcune leggi bicamerali, il voto di fiducia che d’ora in poi sarà di competenza solo della Camera, e il mantenimento della funzione legislativa sui rapporti tra Stato, Ue ed enti territoriali.
Il nuovo rapporto Stato-regione è inoltre fondamentale, per Violante, al fine di “garantire gli stessi diritti a tutti i cittadini, come quello alla salute, indipendentemente dalla regione”. E ha ricordato, inoltre, come con la riforma costituzionale si arriverebbe ad “attribuire materie strategiche di competenza allo Stato, appianando la competitività e unificando i procedimenti amministrativi”.
È la parte peggiore della riforma invece per Onida, “perché così facendo vuole abolire tutte le competenze concorrenti, le responsabilità e le autonomie finanziarie”. Un accentramento “legislativo, finanziario e amministrativo che cade nella contraddizione per quanto riguarda, ad esempio, gli Statuti speciali”.
Infine, il confronto tra gli statuti di democrazia diretta: “Saliranno da 50.000 a 150.000 firme le proposte d’iniziativa popolare – ha illustrato Violante. – Il quorum che rende valido il risultato di un referendum abrogativo resta sempre del 50 per cento più uno degli aventi diritto al voto. Serviranno ancora 500.000 firme per richiedere un referendum, ma se se ne raccolgono 800.000 il quorum sarà inferiore”. In questo caso, a votare sarà il 50 per cento più uno degli elettori delle ultime elezioni politiche, e non il 50 per cento più uno degli aventi diritto.
In conclusione Onida auspica all’unità di intenti il 5 dicembre, “qualsiasi sia il risultato elettorale”. Mentre per Violante, “le riforme importanti hanno bisogno di coraggio e voglia di ricostruire. Con la paura non si costruisce nulla”.
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