Imane Laloua (foto dalla pagina Facebook Aiutateci a trovare Imane Laloua)
Un test del DNA che potrebbe legare una tragica storia avvenuta a Prato con Ferrara, con 12 anni di ritardo: tanto è il tempo che Zoubida Chakir aspetta per sapere cosa sia successo a sua figlia, scomparsa nel 2003.
Imane Laloua era una ragazza di 22 anni anni, marocchina, in Italia dal 1995, dove si è sposata con un connazionale per andare a vivere a Prato. Dal 7 luglio del 2003 non si sa più nulla di lei, scomparsa nel nulla. Le indagini si aprono e sbattono contro un muro, fino all’archiviazione.
Nel 2004, era il 25 maggio, a Cento, vicino all’argine destro del Reno, in prossimità di via Mussolina, viene trovato un cadavere di una donna. È in avanzato stato di decomposizione. Il corpo viene portato all’istituto di medicina legale, si sa solo che è una persona di sesso femminile, i rilievi diranno che era in acqua da qualche mese. Anche questa volta le indagini non portano da nessuna parte e arriva l’archiviazione e, poco dopo, quel corpo senza nome viene sepolto nel cimitero di Mizzana.
“Nel 2015 c’è stata nota congiunta delle prefetture di Prato e Ferrara, hanno fatto una comparazione tra la denuncia di scomparsa e i dati del corpo – racconta l’avvocato Rometta Daica che, insieme all’associazione Penelope, assiste la signora Chakir -. C’è una compatibilità tra l’età, la nazionalità e probabilmente anche la presenza di un piercing”.
Un caso riaperto e un corpo dove magari la signora Chakir – che non ha mai smesso di cercarla – potrà piangere. La procura di Prato ha deciso di riaprire le indagini e assegnarle ai sostituti procuratori Egidio Celano e Valentina Cosci che subito hanno nominato un consulente tecnico per avviare un test del Dna. Ad occuparsene sarà il genetista Ugo Ricci che comparerà un campione salivare della mamma con alcuni reperti conservati del cadavere trovato a Cento. Il consulente tecnico ha chiesto 60 giorni per il deposito della relazione scritta. “Se i resti che sono a Ferrara risulteranno sufficienti non ci saranno problemi di sorta – spiega l’avvocato Daica -, altrimenti sarà necessario riesumare la salma”.
Un caso che per l’associazione Penelope, presieduta dall’avvocato Nicodemo Gentile – ha una valenza doppia: “Per noi è importante anche per la nostra battaglia sulla costruzione di una banca dati del DNA. Siamo arrivati a scoprire questi dati tra il 2015 e il 2016 quando c’è un trattato del 2005, ratificato dall’Italia, per la creazione di una banca dati a livello centrale che ci avrebbe permesso di scoprire tutto più in fretta. Solo che è dal 2009 che manca il regolamento attuativo”.
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