di Francesco Altavilla
Era il il 17 febbraio 1992 quando Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio di Milano venne arrestato: fu il principio di una stagione giudiziaria, storica e politica che ha segnato la recente storia d’Italia. È il 26 settembre 2015, e Gherardo Colombo è a Ferrara a presentare la sua ultima fatica letteraria: “Lettera a un figlio su Mani Pulite” (Garzanti). Ad accogliere l’ex magistrato, nell’ambito della “trilogia sulla giustizia, le sue possibilità, i suoi limiti”, ospitata all’interno di Unifestival, erano presenti Andrea Pugiotto, professore di Diritto Costituzionale dell’Università di Ferrara e Federico D’Anneo, della scuola forense ferrarese.
Un dialogo “tra giuristi” che non è mai scaduto in tecnicalità di difficile comprensione per la folta platea accorsa alla libreria Ibs, dove la presentazione ha avuto luogo. Il confronto è stato però l’occasione per Gherardo Colombo di tracciare un rapido bilancio di quella che il professor Pugiotto ha definito “un tornante giudiziario, politico e storico”. Un momento di svolta, che però, a giudizio di Colombo, “non ha prodotto gli effetti sperati”. La spiegazione, a parere di Federico D’Anneo è da ritrovare in quella “reazione ambivalente” che all’entusiasmo popolare suscitò resistenze venendo percepita come un “travalicamento dei normali confini della giustizia”.
Ma che eredità ci ha lasciato la maxi inchiesta? Poca cosa, a sentire Gherardo Colombo, che nella riforma del 1993 riguardo l’immunità parlamentare vede uno dei più significativi lasciti di quella stagione. “Il problema della corruzione – ha chiosato – non si risolve solo con i procedimenti penali”, lanciando una velata polemica rispetto a quanto detto dall’ex collega Piercamillo Davigo venerdì pomeriggio dal palco di Unifestival.
All’osservazione del professor Pugiotto che ha fatto presente come si possa notare una “continuità tra la cosiddetta Prima Repubblica e la Seconda, per quanto riguarda scandali e crack finanziari che coinvolgono forze politiche e imprese pubbliche e private” una continuità in cui l’unica differenza “è la quantità”. E l’ex magistrato del pool guidato da Antonio Di Pietro ha ribadito che “l’indagine penale è uno strumento inadeguato per sradicare il fenomeno della corruzione, endemico” e che per la sua diffusione “rende impossibile perseguire tutti”. Colombo ha ricordato il momento in cui l’opinione pubblica cambiò atteggiamento nei confronti dell’inchiesta e dei magistrati che la conducevano, “quando l’inchiesta si allontanò dal ‘vertice’ toccando altri settori della società, più legati alla quotidianità”.
Ciò che occorre, ha concluso Colombo, è un “intervento culturale, sul modo di pensare delle persone, convincere le persone che la corruzione è un male, per sé stessi e per la collettività”.
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