Eventi e cultura
26 Marzo 2015
Un viaggio fra i silenzi, i sorrisi, le solitudini della Groenlandia orientale nella biblioteca Bassani

Gli Inuit in mostra a Ferrara

di Redazione | 3 min

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Un vero e proprio viaggio all'interno del cinema ferrarese e della storia italiana degli ultimi settant'anni. Le mostre permanenti "Vancini Manifesto" e "80 Ossessione" avviano un ciclo di visite guidate, a partire da domenica 28 aprile alle ore 10, negli spazi dell'ex caserma dei vigili del fuoco

Ammassalik paesaggioOrganizzata dall’associazione ItaliAmmassalik (www.italiammassalik.it) da diversi anni impegnata a creare un ‘ponte’ fra la comunità Inuit di Ammassalik e il mondo occidentale, in collaborazione con il Cai Ferrara e l’Ufficio Biblioteche Decentrate, da martedì 31 marzo a martedì 28 aprile presso la biblioteca Bassani saranno esposte fotografie, carte, oggetti artistici e d’uso quotidiano utilizzati dagli Inuit di Ammassalik, regione della costa orientale della Groenlandia a filo del Circolo Polare Artico.

Alle fotografie esposte, scattate nelle missioni condotte da ItaliAmmassalik alla scoperta dei panorami più inusuali e dei villaggi più isolati, si aggiungono pannelli informativi e citazioni degli abitanti del luogo che raccontano i momenti più particolari e caratteristici della loro vita. Viene così offerta l’occasione, unica, per conoscere le usanze, i costumi, i miti di un popolo che mantiene, pur vivendo appieno i tempi moderni, le tradizioni e la cultura Inuit originaria.

Alle ore 17 di martedì 31 marzo verrà inaugurata la mostra.

Dopo il saluto portato da Luisa Martini dell’Ufficio Biblioteche Decentrate e Laura Benini del Club Alpino Italiano, Ottorino Tosti, fondatore di ItaliAmmassalik, racconterà storie, miti, usanze di questa popolazione, illustrandole con inedite fotografie e filmati. Ammassalik fu raggiunta per la prima volta nel 1884. Fino a quel momento si riteneva che tutta la costa orientale della Groenlandia fosse disabitata. Allora erano poche centinaia. Oggi continuano ad essere un piccolo nucleo di poco più di 3000 individui in sei piccoli villaggi sparsi fra i ghiacci.

Nonostante la pressione esercitata dal mondo occidentale questa comunità è riuscita a mantenere i principali tratti della cultura originaria, che si rintracciano nelle concezioni della vita, nel comportamento tenuto durante la caccia caratterizzato da un forte rispetto verso l’animale predato, nel forte senso della condivisione indispensabile per fare fronte alle carestie che hanno sempre colpito questi luoghi. Ancora oggi la caccia e la pesca molte volte non sono sufficienti per alimentare l’intero gruppo sociale: allora si rimane senza mangiare anche per svariati giorni. Qui  non si va al supermercato. Si mangia soprattutto carne di foca. La foca è l’alimentazione abituale. E’ fondamentale, ogniqualvolta si parla di caccia alla foca, fare una precisazione sul pensiero corrente che gli Inuit massacrerebbero le foche per venderne la pelliccia, perché questo del massacro delle foche da parte degli Inuit è un  detto comune veramente fuori luogo.

L’uccisione delle foche per predarne la pelliccia era, ed è ancora praticata nonostante le leggi lo vietino, in Canada e in Alaska dai bracconieri, non certo dagli Inuit. Nessun Inuit ucciderebbe un animale per venderne la pelle.La caccia è praticata esclusivamente a scopo alimentare. Un tempo le pelli delle foche uccise per essere poi mangiate venivano vendute e questo commercio dava una certa stabilità economica. Le campagne ambientaliste degli ultimi venti anni hanno stroncato questo commercio e questa popolazione sta ora sopravvivendo a stento mancando dell’economia più basilare per acquistare le cose necessarie alla vita: il gasolio per riscaldarsi e muovere le barche, qualche genere alimentare di sopravvivenza, l’abbigliamento.

All’occidente questa popolazione è interessata molto fino a che era vivo il commercio delle pelli di foca, ma poco quando questo commercio si è esaurito. Abbandonata a se stessa senza alcun supporto per l’inserimento nel mondo occidentale oggi vive tutti i drammi delle culture originarie che si sono trovare improvvisamente a contatto con la civiltà occidentale più forte e aggressiva. Insomma, una popolazione che deve,da noi occidentali responsabili della sua cattiva sorte, essere adesso conosciuta e aiutata.

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