Lettere al Direttore
23 Gennaio 2015

Ebola, una delle tante emergenze

di Redazione | 4 min

“Il terrore delle cose ignote è maggiore” (Tito Livio; Scipione l’Africano: XXVIII, 44; 2006)

Il terrore è la forma estrema di paura e quest’ultima è un’intensa emozione derivata dalla percezione del pericolo. La linea che separa la paura dal terrore è diventata sempre più impercettibile, la percezione del pericolo si trasforma così in accertamento dello stato di terrore.

Oggi la notizia che fa scalpore è il terrorista che potrebbe, agli occhi dei più, aver a che fare con il virus Ebola, in questi termini si parla infatti di bioterrorismo. Si ritorna così al punto di partenza, la paura dell’altro o meglio il timore che l’altro possa attaccarci, influenzarci, farci ammalare di terrore.

A scampo di equivoci propongo un intervento di Nicolas G. Evans, professore di bioetica all’università della Pennsylvania, sulla capacità di questo virus nel diventare un’arma terroristica. «Il virus dell’Ebola si trasmette attraverso i fluidi corporei. Ed è difficile immaginare un’organizzazione terroristica che bussi porta a porta con sacchi di sangue o vomito di malati di Ebola per cercare di infettare più gente possibile. Quella di un kamikaze che si infetta di Ebola e poi va in giro come un untore è un’ipotesi altrettanto improbabile, se non altro perché nel momento in cui mostra i primi sintomi, il malato deve essere immediatamente ospedalizzato e rimanere a letto, senza che abbia la forza di muoversi. Difficile che riesca a compiere un’impresa suicida in queste condizioni. Ebola è la dimostrazione del fallimento delle strutture sanitarie in Africa, e dell’incapacità dell’Occidente di ridurre il rischio in tempi brevi. Questi annunci invece sono pericolosi perché contribuiscono a far salire il clima di terrore. E la paura è un’arma molto più pericolosa delle altre. Per battere Ebola bisogna preoccuparsi meno dei terroristi e più di aiutare gli altri» (1).

Se la malattia emerge come un complesso sociale di cui la biomedicina coglie le dimensioni individuali, l’efficacia del suo intervento su tale prodotto finale rischia di essere limitata o pregiudicata senza un’adeguata azione volta a promuovere una trasformazione dell’esperienza sul piano simbolico e dei rapporti sociali. In un momento in cui le risorse pubbliche emergono come sempre più scarse, diventa ancor più urgente comprendere che concentrarsi sul prodotto senza interrogare il processo che lo ha posto in essere rischia di minare l’efficacia anche dell’intervento più efficientemente condotto. Promuovere l’efficacia può invece garantire migliori livelli di efficienza potenziando l’intero processo terapeutico (2)

Così la prossime malattie che colpiranno i paesi più poveri, ritorneranno a essere definite emergenze, imprevisti che non erano stati messi in conto. Ma da chi? Certamente non dai primi interessati, poiché chi vive ai margini della scala sociale vive sulla propria pelle che qualsiasi infezione può essere fatale, ma lo sappiamo pure noi e ce interessiamo solo quando possiamo farne notizia. Di conseguenza se in Europa non si registrano più casi, allora l’Ebola torna ad essere un problema degli altri, per cui oggi l’Ebola è acqua passata.

Invece i traguardi raggiunti ci dovrebbero interessare a livello globale, l’epidemia che complessivamente ha causato oltre 8.400 vittime (e più di 21mila contagi) sembra non interessare più nessuno. Intanto Ousmane Kone, ministro della salute del Mali, dichiara la fine dell’epidemia in Mali; dopo 42 giorni in cui non è stato segnalato nessun caso di nuova infezione (42 giorni corrispondono a due volte il periodo massimo di incubazione del virus). E se a questo aggiungiamo che i nuovi casi sono in diminuzione anche nei tre paesi maggiormente colpiti dal virus (Sierra Leone, Guinea e Liberia) si tratta decisamente di buone notizie per l’emergenza di ebola. La Guinea, riferisce l’Oms, ha infatti riportato il minor numero di casi dallo scorso agosto. Situazioni simili si registrano per la Liberia (il numero di casi settimanali, nell’ultimo aggiornamento, è il più basso da giugno) e la Sierra Leone (il numero più basso di contagi settimanali dallo scorso agosto)(3).

Siamo in presenza non della globalità, ma de “La globalizzazione dell’indifferenza”. Che è praticata per insensibilità, per incultura, per comodità ma soprattutto per interesse, anche nel nostro Paese. L’interesse di chi ha speculato da decenni politicamente, economicamente e mediaticamente sui temi dell’immigrazione. Imponendo sempre risposte falsamente sicuritarie, varando leggi meramente repressive, alimentando campagne di paura e insofferenza condite dai peggiori luoghi comuni. Quindi inducendo chiunque a pensare che il fenomeno dell’immigrazione fosse un “problema”, qualcosa di grave per la “nostra” sicurezza personale e collettiva. Nulla di più falso, umanamente e storicamente (4).

Ivana Abrignani

 

1 Next quotidiano, Perchè Ebola non può essere usato come arma di bioterrorismo,

http://www.nextquotidiano.it/perche-ebola-non-puo-essere-usato-come-arma-bioterrorismo/ , 19/01/2015.

2 I. Quaranta, La trasformazione dell’esperienza, Antropologia e processi di cura. Rivista 01/10/2010.

3 A. L. Bonfranceschi, Ebola, il Mali è libero dal virus, http://www.wired.it/scienza/medicina/2015/01/19/ebola-mali-libero-virus/ , 19/01/2015.

4 I. Abrignani, Sangue Amaro. HIV, prevenzione e migrazione. Un’analisi antropologica, (intervista a S. Mencherini) p.32, Università degli studi di Bologna, 2012/2013.

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