La spada di Damocle – o meglio di Dexia – che aleggia sui conti del Comune di Ferrara ha un ‘preventivo’ già definito: circa 8,5 milioni di euro tra spese legali e penali da pagare alla banca di investimento inglese. È questa la spesa complessiva che i bilanci pubblici dovranno sopportare nel caso la High Court of Justice di Londra, il cui giudizio è atteso approssimativamente per il prossimo autunno, accolga le istanze di Dexia e condanni il Comune di Ferrara a pagare le salatissime penali per la rescissione unilaterale del contratto sugli strumenti finanziari (i cosiddetti derivati) annullati nel 2012.
Le cifre in ballo nella causa contro Dexia vengono rese note durante il ‘question time’ di ieri pomeriggio in consiglio comunale, durante il quale Vittorio Anselmi (Forza Italia) ha chiesto al neo assessore alle finanze Luca Vaccari “quale sia attualmente la situazione del contenzioso in atto e se il contratto derivato sia stato o meno risolto”. La risposta di Vaccari è puntuale ma allo stesso tempo assai poco confortante. L’assessore infatti assicura che il Comune non rischia certo di vedersi prosciugare i bilanci, dal momento che fin dal 2012 ha cominciato ad accantonare risorse (“come se dovessimo pagare domattina”) in caso di una sconfitta in tribunale, ma elenca una serie di costi e spese che sommandosi superano gli otto milioni di euro: 3,3 milioni di accantonamenti già eseguiti, a cui si aggiungeranno un milione, 900mila e 800mila euro nei prossimi tre anni e altri 2,5 milioni di spese legali (tra costo degli avvocati e pratiche per i ricorsi).
Durante la risposta ad Anselmi, Vaccari si sofferma sulle origini del contenzioso, ribadendo che “il derivato è ancora in piedi perchè questa amministrazione ha dichiarato la nullità del contratto, ma la Dexia ha fatto ricorso alla High Court of Justice di Londra. Noi lo consideriamo risolto, ma la nostra controparte non è d’accordo, quindi continueremo col giudizio”. I derivati Dexia furano sottoscritti dall’amministrazione Sateriale nel 2002, 2003 e 2005 e produssero utili per circa 135mila euro fino allo scoppio della crisi finanziaria del 2009, quando i tassi di interesse Euribor precipitarono dal 6,5% al 4,4%. Il Comune si ritrovò quindi tra le mani uno strumento finanziario che, invece che generare utili, portava costi che in pochi anni avrebbero largamente superato i guadagni. Dopo una prima proposta di concordato con Dexia, rigettato però dalla banca, l’amministrazione Tagliani decise quindi attraverso una delibera del 2012 di annullare tutti i contratti relativi ai derivati, basandosi dal punto di vista legale su tre argomentazioni: i “costi impliciti” dello strumento finanziario, che non sarebbero state esplicitamente segnalate nel contratto, il fatto che il Comune non sia un “operatore qualificato” per sottoscrivere questi accordi (tesi per la quale si fa riferimento al testo unico sulla finanza del 1998), e le modalità di scelta (senza gare o procedure comparative) con cui fu selezionata Dexia.
Una linea rigettata da Dexia, che si è appellata al Tar dell’Emilia Romagna e alla High Court of Justice di Londra, con conseguente – e onerosa – battaglia legale per il Comune di Ferrara, che circa un mese fa ha dovuto nominare tre nuovi periti spendendo altri 55mila euro di spese legali. Quasi un’inezia però, se si considera il salatissimo conto che si troverebbe costretto a pagare in caso di soccombenza: 8,5 milioni di euro. “Stiamo assistendo – è stata la considerazione finale di Anselmi – a una voragine che si sta allargando, raggiungendo cifre vertiginose solo per le spese legali. Credo che i cittadini di Ferrara sapranno solo alla fine quale sarà il costo di questa operazione, che nasce da precedenti amministrazioni. Speriamo che si possa scrivere la parola fine su questa vicenda e sapere chi ha peccato originariamente”.