Attualità
15 Agosto 2014

Statuto evoluto

di Redazione | 3 min

Il lavoratore dipendente ha acquisito nei decenni una serie di diritti fondamentali per considerare l’Italia un paese “evoluto” – cosa di cui tutti si fanno vanto quando in termini di paragone lavorativi si citano Cina e India, solo per portare due esempi di economie esplose in faccia al mondo e basate soprattutto sullo sfruttamento bieco della forza lavoro – , diritti sudati a suon di incontri a braccio di ferro tra parti sociali e imprese, operai o equiparati e imprenditori. Sono costati anche la vita a qualcuno quei diritti, in alcuni casi, penso sia bene ricordarlo. Nessuno li ha mai toccati, è vero, ma si è compiuta un’operazione più furba, oserei dire più “elegante”, tipica di una classe politica erede di quella che operò il golpe soft senza pacchiani carroarmati, ma ammaestrando la tigre in gabbia convincendola di essere nella savana: si sono messi in mano alle imprese tutti gli strumenti per poterli aggirare, quei diritti. Legalmente. La manomissione delle parole (di cui Gianrico Carofiglio ha scritto un saggio siderale) ha colpito anche qui: diritto è diventato sinonimo di privilegio. Il paradigma di questo revisionismo concettuale fu la tristemente celebre uscita di Elsa Fornero che da Ministro del Lavoro affermò “il lavoro non è un diritto”, brutalizzando – in modo per di più incestuoso – il primo articolo della Costituzione con sei parole.
Così, non solo i diritti del lavoratore sono finiti criminosamente alla voce “privilegio”, ma anche il concetto stesso di Lavoro.
Ora, in un’epoca di lavoro inteso come orpello utopico per un numero abominevole di persone e di imprese piccole e medie con l’acqua più putrida a una spanna dal soffitto, anziché investire fondi europei inutilizzati/introiti di una reale lotta ai grandi evasori/denari destinati a folli spese militari/ecceterissima… per sgravare le aziende da tasse e tassucole e dal costo folle dei contratti degni di questo nome per i loro subordinati, Matteo IncoeRenzi e il più bello che bravo Alfano vogliono riscrivere lo Statuto dei Lavoratori.
I Totò e Peppino delle larghe intese, i Bryan e Gerrison delle coreografiche contorsioni alla sbarra del Governo, due al cui confronto perfino Cicchitto sembra De Gasperi, due che definire “statisti” autorizza Giancarlo Magalli a proclamarsi sex symbol e me a defirmi il più forte centravanti d’Europa, quei due lì, per dio, vogliono riscrivere lo Statuto dei Lavoratori.
Quindi ricapitolando: le piccole e medie aziende sono state spesso costrette a calpestare i diritti dei dipendenti per sopravvivere, aggirandoli con leggi di “flessibilità” divenute nei fatti di “precarietà”, ciononostante vedendosi costrette a chiudere i battenti in molti casi, i disoccupati sono centuplicati e ora si vogliono “rivedere” i diritti base sperando che questo incentivi le aziende ad assumere.
Come dire: io imprenditore posso sodomizzare te dipendente come voglio. Ma io imprenditore non ho più il pene. E tu dipendente hai l’ano così largo che sarebbe comunque come tirare un salame in un corridoio.
In un paese di evirati e sfinteri slabbrati, voi inneggiate alla sodomia.
Forse perché il vostro pene è talmente ipertrofico che non esisterà mai culo troppo largo.
Avanti coi carri.
Anzi, indietro.

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