Attualità
2 Luglio 2014

Rutto libero #5, gli ottavi parte 2^

di Redazione | 11 min

Ecco i restanti quattro match di ottavi di finale che hanno fatto la fortuna dei produttori di bypass coronarici.

Le partite:

Francia – Nigeria 2-0 (79’ Pogba, 91’ aut. Yobo)

L’ennesima partita di questo Mondiale da infartiolo. Diciamocelo: sulla Francia in pochissimi avrebbero scommesso una dracma del Monopoli. E invece fanno sul serio questi qua. Le squadre allenate finora da Deschamps non hanno mai avuto una fluidità di manovra del genere, in barba al luogo comune che vuole la squadra di club più semplice da plasmare. Hanno finalmente un grande portiere (Lloris) dopo decenni di “Scarana” Barthez, inspiegabilmente sempre titolare, una difesa solida ed esperta, un fenomeno (Pogba) e ottimi portatori d’acqua a centrocampo e un attacco dinamico e concreto (Valbuena sta sostituendo alla grande il bel Ribery e Benzema è su livelli mai mostrati prima). Ma la Nigeria allenata da Keshi (in campo a Usa ’94 quando la buttammo fuori trascinati da Roby Baggio) non è squadra sprovveduta per la serie “i neri corrono tanto e basta”: sì, questi neri corrono tanto, ma corrono bene e hanno una maturità tattica solida. Ne è testimonianza il gol annullato ai verdi d’africa nel primo tempo per un fuorigioco di un’unghia. Les blues crescevano alla distanza e iniziavano a mitragliare il portiere nigeriano “Eddie Murphy” Enyeama che dimostrava d’essere il miglior estremo difensore africano del momento con interventi ai confini della realtà. La chiave della svolta è a centrocampo nella sfida tra i due leader Pogba e Obi Mikel: se il nigeriano eccedeva in leziosità e perdeva palloni su palloni, lo juventino era qualcosa di mostruoso nel mescolare forza fisica, tempi di inserimento, distribuzione di palloni ed innata, sinuosa eleganza. Non a caso stappava la partita lui per gentile concessione di Eddie Murphy che cannava l’uscita e spalancava la porta al Polpo Paul. Il 2-0 in contropiede era un autogol di Yobo che aveva scommesso sul suo stesso autogol alla Snai di via Modena. Peccato, perché la Nigeria puntava a passare ai quarti grazie alla nuova regola introdotta quest’anno da Blatter per ingraziarsi la federazione africana: in caso di parità dopo tempi regolamentari, supplementari e rigori vince la squadra con la lunghezza media del sesso maggiore. E in questo campo, la Nigeria è oggettivamente imbattibile. Per festeggiare la vittoria dei Blues infatti, la Le Pen, presente allo stadio, si è barricata nello spogliatoio nigeriano ricevendo spunti convincenti per rivedere le sue ferree posizioni contro gli extracomunitari. Potremmo consigliare lo stesso iter a Matteo Salvini.

Migliori in campo:

Pogba (Francia) voto 8,5: è un Vieira più veloce, più tecnico e meno stronzo. La Francia non è solo lui, ma senza di lui sarebbe una buona squadra tendente al mediocre. Fa muro, costruisce, conclude, segna. One-man show.

Enyeama (Nigeria) voto 7: la cappella sull’1-0 è decisiva per la sconfitta dei suoi, è vero, ma se la Francia segna solo a dieci minuti dal termine è solo e soltanto merito di almeno sei interventi da grandissimo portiere: uno che quest’anno ha tenuto la porta del Lille inviolata per 1026 lunghissimi minuti, per dire. Eppure di lui si ricorderà solo l’uscita a vuoto che ha condannato la Nigeria. Ma questo è l’infame destino dei portieri. Mostro.

Germania – Algeria 2-1 d.t.s. (92’ Schürrle, 119’ Özil, 121’ Djabou)

“Il calcio è un gioco semplice: si gioca undici contro undici e alla fine vincono i tedeschi” disse una volta Gary Lineker. Non sempre (tipo quando incontrano noi), ma comunque i crucchi non mollano mai e in un modo o nell’altro in fondo ci arrivano sempre. La partita contro le volpi del deserto ha dimostrato, semmai ce ne fosse ancora bisogno, che i tempi delle squadre di pellegrini da maciullare a suon di gol sono finiti da tempo: anche i giocatori di nazionali meno blasonate sono ormai tutti impegnati in campionati e coppe in Europa e la vita facile non c’è più per nessuno. Con questo non voglio ridimensionare il fallimento azzurro, ma motivare la sudata che la Germania ha dovuto compiere per venire a capo dell’Algeria. Il ct tedesco Löw ha adattato il gioco della squadra al guardiolismo imperante in Germania: gioca col famoso “falso nueve”, cioè con un centravanti che non è un centravanti, per non dare punti di riferimento agli avversari. Nella fattispecie, costui risponde al nome di Thomas Müller: brutto, dinoccolato, sgraziato, con due zanette al posto delle gambe, ma incredibilmente efficace. È l’uomo squadra dei tedeschi, gioca a tutto campo, non spreca un pallone e spesso segna. “Nueve” che invece sarebbe servito come il pane all’Algeria, splendida nel costruire, arcigna nel difendere, fulminea nel ripartire, ma senza un uomo di peso in grado di concretizzare. Ai supplementari non ne avevano più da dare e, preso il gol di Schürrle, hanno giocato l’asso nella manica: tentare di vendere hashish ai tedeschi per stordirli e renderli inoffensivi. Ne ha comprato 20 euro solo Özil, che infatti vagava per il campo alla ricerca di un piadinaro in piena fame chimica e i suoi classici occhi da stitico che spinge erano più strabuzzati del solito. Pur in fattanza riusciva a segnare il secondo gol teutonico che rendeva inutile il commovente 2-1 di Djabou.

Migliori in campo:

M’bolhi (Algeria) voto 8: se il suo dirimpettaio Neuer passa il tempo vagando per la propria metà campo a giocare da difensore aggiunto, il buon Rais si comporta da portiere “vero” parando con voli spettacolari tutto il parabile. La deviazione sulla sligamata all’incrocio di Lahm è un compendio di prestanza atletica, esplosività, riflessi e tecnica da paura. Ragno nero.

Bizzotto (Germania) voto 9: liberato da fastidiosi obblighi aziendali che gli imponevano di commentare le partite dell’Italia, Stefano ha potuto finalmente commentare la sua squadra del cuore estraendo un pathos e una verve serbati per l’occasione. Salito in cabina di commento vestito da tirolese con una pinta di Budweiser e un panino wurstel e crauti, all’inno tedesco ha iniziato a piangere riuscendo eroicamente a darsi un contegno raccontando le gesta dei suoi beniamini fra digressioni su partite della Bundesliga (sconosciute agli stessi calciatori che le hanno giocate) e aneddoti irresistibili su, ad esempio, quella volta che da bambino Lahm perse il suo omino Play Mobil preferito, o quella volta in cui il ct Löw rimase a piedi con la macchina andando alla Cresima del figlio di un suo ex compagno di scuola. Ogni volta che pronuncia il nome “Schweinsteiger” gli si illumina il visino e anche noi da casa ci emozioniamo con lui.

Argentina – Svizzera 1-0 d.t.s. (118’ Di Maria)

Il derby del Vaticano tra la squadra del Papa e quella delle sue guardie o, se preferite, il derby del “rimpiattino dei monelli” tra Rifugio Criminali Nazisti e Rifugio Evasori Fiscali. Comunque l’abbiate letta in partenza, nessuno avrebbe scommesso sugli elvetici: pacifici, ingegnosi e precisi, ok, ma mentre noi, incazzosi, pigri e minchioni, abbiamo prodotto – chessò – il Rinascimento, questi in cinquecento anni hanno donato al mondo solo l’orologio a cucù.

Ma in campo non vanno i popoli, né le tradizioni, né i luoghi comuni appena citati (volutamente e scherzosamente. Ho detto vo-lu-ta-men-te e scher-zo-sa-men-te), anzi in campo non vanno proprio gli svizzeri: tutti figli di turchi, magrebini, brasiliani, albanesi ecc… a esemplificare in mondovisione la maturità di una società intera (quando è entrato in campo Fernandes ho ottime ragioni di pensare che nessun Svizzero “ariano” si sia messo a scrivere su Facebook “non esistono negri svizzeri”). Il risultato è una squadra solida e difficile da battere. Anzi, mi spingo più in là: se avessero avuto ancora uno tipo il vecchio Chapuisat davanti, questi oggi avrebbero vinto. Sì, perché l’Argentina ha una coppia di difensori che si taglia con un grissino e un portiere imbarazzante (in campo, quello forte è Orion, lasciato a fare il Sudoku in panchina. Mah).  La fortuna dell’albiceleste è quel trottolino che sta in mezzo al campo e tappa tutte le falle, un incrocio tra Gattuso e Roy Kean, ovvero Mascherano. Poi però si tratta di costruire e qui son dolori. Anche oggi il destino della selecion era nei piedi di Messi, fiancheggiato da un Higuain in versione “generoso Graziani” che faceva a spallate ma pareva caricato a salve, da un Pocho Lavezzi che doveva coprire tutta la fascia e mancava di lucidità e da un Di Maria che, oltre a somigliare allo scugnizzo magro di “Gomorra”, andava a corrente alternata. Messi quindi era come sempre costretto a vagare per il campo alla ricerca di uno spazio buono per ricevere palla per poi andare a kamikaze tra i sicari elvetici, saltare tutti, tornare indietro, risaltarli, passare al McDrive, ordinare un McCicken menù, farsi dare il pupazzetto omaggio, passare a prendere il sale fino da un pakistano aperto che sennò quella rompicoglioni a casa chi la sente, cercare un compagno smarcato vicino al portiere Benaglio o direttamente la porta in un tripudio di onanismo calcistico. Ecco lo schema del ct argentino “Ciribiribì Kodak” Sabella. Che poi alla fine cos’altro puoi fare se hai Messi in squadra? Questo, appunto. Lo butti in campo e dici a tutti di passarla a lui prima possibile, gesticoli un po’ a caso a bordo campo con aria convincente e porti a casa la pagnotta. Io so cosa si prova in una situazione del genere, forse perché ho giocato in squadra con Mirco Mazzini.

Alla replica numero millemila del “Messi vs Resto del Mondo”, Di Maria (che di nome fa Fatto) beffava il bravo Benaglio con tiro secco e preciso. Era il 118’. Ecco, la cosa che stupisce di questo Mondiale è quella che gli ispanofoni chiamano “garra” che scatta nei giocatori (pur stremati) negli ultimi istanti di partite virtualmente concluse. Così nei rimanenti due minuti dei supplementari accadeva il finimondo: tutta la Svizzera (compreso il signor Rezonico, il signor Gervasoni, il poliziotto Über e il temibile cane Augentaler) si riversava nell’area piccola del povero Romero. Dzemaili colpiva di testa da 7 cm, la palla picchiava sul palo, rimbalzava sullo stinco dello stesso giocatore del Napoli, e, violando ogni legge fisica, usciva, il tutto davanti agli occhi di un Romero con più culo che criterio. Finita? Macchè. C’era il tempo per una punizione dal limite procurata da Shaqiri che la stessa cantante colombiana andava a battere infrangendo sulla barriera (composta da tutti i giocatori argentini in campo, da medico e massaggiatore, dai bibitari dello stadio e da un autobus di linea parcheggiato appositamente), insieme al pallone, il Mondiale della Svizzera. Al fischio finale episodio increscioso causato dall’eliminazione della nazionale di Hitzfeld: a Bellinzona un esagitato tifoso si alzava dal divano, spegneva la tv ed esclamava “acciderboli”.

Migliori in campo:

Dzemaili (Svizzera) voto 10: il voto è alla sfiga. O al culo di Romero.

Messi (Argentina) voto N: veramente devo scrivere qualcosa su Messi?

Belgio – Usa 2-1 d.t.s. (93’ De Bruyne, 105’ Lukaku, 107’ Green)

Quante volte le sorprese annunciate deludono? Non questo Belgio, pronosticata all’inizio come squadra rivelazione. Passati i tempi oscuri dei fratelli Mpenza, del generoso Lulù Oliveira e dell’ottuagenario portiere De Wielde, i tecnici della federazione belga hanno girato l’Europa studiando in Germania, Spagna e Italia le dinamiche che portano a una Nazionale competitiva non per grazia ricevuta, ma con il certosino lavoro sui settori giovanili. E dopo la semina ecco il raccolto: una squadra dall’età media bassissima formata da giocatori tecnicamente sopraffini, tatticamente preparati e atleticamente mostruosi. E, se mi permettete, un calcio in faccia alla xenofobia (il secondo di giornata dopo quello svizzero): la maggior parte dei giocatori belgi sono figli di immigrati provenienti da ogni dove, in un meltin pot che ha fatto schizzare in alto il livello di questa squadra da una generazione all’altra. La società non funziona in modo troppo differente da una squadra, laddove la contaminazione non è vissuta come una tragedia. Troppa roba tutta insieme da considerare per un italiano.

Gli Usa tenevano generosamente botta grazie soprattutto al portiere Howard, ennesimo estremo difensore in stato di grazia visto in Brasile, ma ancora una volta il ct belga Wilmots (ex ottimo giocatore) imbroccava i cambi e buttava dentro il fin qui deludente Lukaku. Il colosso sfruttava la freschezza atletica e agli albori dei supplementari spaccava l’arcigna difesa statunitense per l’1-0 di De Bruyne e raddoppiava dieci minuti dopo su assist dello stesso biondino. Era il coronamento di una supremazia totale (soprattutto a centrocampo con i due cugini di campagna Witsel e Fellaini che assordavano i dirimpettai americani cantando in falsetto), fin lì infranta sui guanti e sui piedi di Howard. Finita? Nossignori. Ecco lo slogan  di questo Mondiale: it ain’t over till it’s over. L’allenatore degli Usa Klinsmann (ex pantegana bionda dell’Inter, il mio giocatore più odiato al pari di Nedved) estraeva dal cilindro uno sbarbino del ’95, tale Green (settore giovanile Bayern, che, come la stella di Negroni, vuol dire qualità) il quale al primo pallone batteva Courtois imbeccato da una “ruicostata” dell’ex Roma Bradley. A quel punto partiva lo sbarco in Normandia 2.0 nella metà campo belga e Courtois salvava in uscita bassa un gol fatto su schema da antologia attuato in occasione di una punizione dai venti metri. Grande delusione per il belga Hazard che avrebbe voluto dedicare un gol ai suoi due figli Boe e Luke e a suo padre Rosco P. Coltrane.

Gli Usa se ne vanno dal Mondiale a testa alta, ma si sa che non ci stanno mai a perdere ‘sti ‘mericani: infatti domani Obama farà buttare giù due torri di New York da due finti aerei di linea e poi dirà al mondo che sono stati i belgi. Ma non ci sarà Emilio Fede a interrompere “Sentieri” per dircelo.

Migliori in campo:

Lukaku (Belgio) voto 7,5: non sarà il nuovo Weah come dicono, sarà entrato coi ‘mericani ciucchi di fatica, ma di fatto decide il match e il Belgio torna ai quarti di un Mondiale dopo ventotto anni. Morte nera.

Howard (Usa) voto 8,5: alla tredicesima parata decisiva ho smesso di contarle. Nessun miracolo, ma un numero folle di interventi complicatissimi. La sindrome di Tourette di cui soffre si manifesta dopo la partita verso quel pirla di Wondolowski che al 90’ ha ciabattato il pallone della vita a un metro dalla porta come neanche il peggior Luther Blisset. Giustamente nessuno lo trattiene.  Saracinesca.

Ed ora sotto con i quarti.

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