Recensioni
20 Marzo 2014
L’esposizione documenta l’intera carriera riunendo le opere provenienti da Messico, Europa e Stati Uniti

Frida Kahlo, i capolavori dell’artista messicana in Italia

di Redazione | 4 min

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Si è aperta, fino al 31 agosto, la prima retrospettiva in Italia alle Scuderie del Quirinale dell’artista messicana Frida Kahlo, a cura di Helga Prignitz – Poda, autrice del catalogo ragionato dell’artista. L’esposizione documenta l’intera carriera artistica di Frida Kahlo riunendo i capolavori assoluti dei principali nuclei collezionistici, raccolte pubbliche e private, provenienti dal Messico, Europa e Stati Uniti.

L’esposizione alle Scuderie del Quirinale rientra in un progetto congiunto che Roma e Genova presentano con due grandi mostre dedicate all’opera dell’artista messicana Frida Kahlo Frida Kahlo e Diego Rivera” a Palazzo Ducale di Genova dal 20 settembre 2014, racconterà l’altra grande influenza che si percepisce nell’arte di Frida, quella che viene dal suo universo privato, al centro del quale lei metterà sempre Diego.

Magdalena Carmen Frieda Kahlo Calderón nasce a Coyoacàn, un quartiere di Città del Messico, nel 1907, da madre messicana e padre tedesco. Di salute cagionevole fin da bambina – a sei anni si ammala di poliomelite e il piede destro le rimane leggermente deformato – Frieda, o Frida come si firmerà, sogna di diventare medico. Agli anni di scuola risale il suo primo incontro con l’opera di Diego Rivera, celebre muralista, che stava dipingendo un’opera sui muri dell’Escuela National Preparatoria. La sua vita cambia nel 1925, quando la giovane resta vittima di un terribile incidente: tornando a casa da scuola l’autobus su cui viaggia si scontra con un tram.
Frida viene trapassata da una delle sbarre di ferro del bus. Trasportata in ospedale ci rimarrà un mese, sopravvivendo miracolosamente alle ferite riportate. Nei giorni di degenza, comincia a dipingere e si dedica soprattutto all’autoritratto, trovando nella propria immagine riflessa in uno specchio posto davanti al letto una comoda e disponibile modella. L’amore per l’autoritratto non l’abbandonerà più.

Iscritta al Partito comunista messicano, incontra nuovamente Rivera che sposerà l’anno seguente. La loro relazione durerà – tra alti e bassi, separazioni e riappacificazioni – fino alla morte della pittrice. Con Rivera, Frida condivide la passione per la politica – quando lui ne sarà espulso anche lei lascerà il partito – l’impegno sociale – l’amore per la cultura precolombiana, le tradizioni popolari messicane e la carriera artistica. Nonostante la comunione di interessi e di intenti tra i due, Frida sviluppa uno stile personale, autonomo dal linguaggio del marito.

Dopo aver vissuto per qualche tempo negli Stati Uniti, per alcuni impegni di lavoro di Rivera, i due tornano in patria, stabilendosi in una nuova casa a San Angel. Per Frida è un periodo difficile: dopo la terza gravidanza interrotta i medici le tolgono la speranza di diventare madre: i dolori per la deformazione della gamba destra sono notevolmente aumentati, obbligandola a sottoporsi a un intervento in cui le vengono amputate alcune falangi del piede. Aggrava la crisi personale della pittrice la relazione amorosa che Diego, incapace di restare fedele, stringe con la cognata, Cristina. Il doppio tradimento della sorella e del marito portano la pittrice a riflettere profondamente sulla propria vita e sul proprio comportamento sociale.

Da quel momento nascerà una nuova Frida, più libera e disinibita, capace di intraprendere relazioni extraconiugali –come farà con lo scultore americano Isamu Noguschi e, secondo alcuni, con Lev Trotzkij – di andare a vivere da sola a Los Angeles, di divorziare da Rivera e risposarsi con lui l’anno successivo e, soprattutto, di buttarsi a testa bassa nel mondo dell’arte dove comincerà a mietere i primi successi. Delusa dal gruppo surrealista che l’ha invitata a Parigi, Frida prende le distanze dall’Avanguardia di Breton e compagni. Le sue motivazioni, oltre che dettate da personali antipatie, vertono sulle differenze tra le sue opere e quelle surrealiste: “Non ho mai dipinto sogni”, spiega lei stessa, “quella che ritraggo è la mia realtà”. Il governo messicano le tributa numerosi riconoscimenti: nel 1946 il Ministero della Pubblica Istruzione le assegna il premio nazionale di pittura.

Ma la sua salute peggiora, le operazioni alla colonna vertebrale si susseguono nell’arco di pochi mesi, nel 1950 ne subisce sette, trascorrendo nove mesi in ospedale. Nel 1953 le viene amputata la gamba destra fino al ginocchio. L’anno seguente, ormai stremata, Frida si ammala di polmonite e muore nella “casa azzurra” di Città del Messico, dov’era nata e dove aveva passato la maggior parte del suo tempo, oggi trasformata in un museo a lei dedicato per volontà di Diego Rivera.

L’arte di Frida Kahlo è un racconto biografico quanto lo sono le pagine del suo celebre diario. Attraverso la rappresentazione della propria figura, di volta in volta obbligata secondo la tradizione, sanguinante, lacerata, ferita, decorata di fiori, cosparsa di chiodi e di frecce, la pittrice ci parla di sé, delle proprie osservazioni, del mondo che la circonda. Il suo sorprendente linguaggio, moderno, aggressivo, affine a certi esiti del Surrealismo mediati con la forza e i colori della tradizione popolare messicana, resta un unicum nel panorama del XX secolo.

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