Eventi e cultura
15 Novembre 2013
Il teatro di Occhiobello ha aperto la stagione con la comicità stralunata e paradossale del comico di Monfalcone

Amore e anarchia con il western carsico di Rossi

di Redazione | 3 min

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(foto di Gioia Casale)

(foto di Gioia Casale)

di Federica Pezzoli

Un diario, un soggetto per un film, “un concerto visionario popolare lirico e umoristico”, come scritto nelle note di regia, questo spettacolo è difficile da definire. “Narra di un tragico smarrimento e di una comica rinascita”, ma Paolo Rossi è sempre il solito, si sa da dove parte, ma non si immagina dove andrà a finire: divaga, scherza, improvvisa e per due ore tiene il pubblico incollato alle poltrone del Teatro Comunale di Occhiobello, intervallo compreso. Illustrare la teoria economica ad una mandria di vacche e se è possibile farsi dare da loro qualche consiglio per risolvere la crisi, spiegare all’anima di Berlinguer cosa è successo negli ultimi ventinove anni e riuscire a far ridere San Giuseppe: sono queste le tre prove che deve affrontare il comico canterino fallito nella sua discesa agli inferi per ritrovare la donna che l’aveva lasciato per il suo ex socio, ma che ancora ama, e che si è sacrificata alla Morte al posto del novello marito durante il loro banchetto di matrimonio pur di non passare tutta la vita con lui. Ad accompagnarlo sul palco i Virtuosi del Carso (Alex Orciari, Stefan Bembi, Denis Beganovic, Mariaberta Blašković, David Morgan), autentica band balcanica capitanata dal pugliese doc, inseparabile sodale di Rossi, Emanuele Dell’Aquila.

Questa volta l’attore ha scelto di farsi ispirare da una terra di confine, che è anche la sua terra d’origine, per dar vita ad “una specie di western carsico-balcanico” caotico e vitale, un melting-pot di forme e contenuti. Si mischiano le carte fra cultura alta e cultura bassa, i riferimenti affiorano e si inabissano proprio come i rigagnoli che scavano le rocce carsiche: con la forma popolare del teatro canzone di Giorgio Gaber e Sandro Luporini, Rossi ripensa i miti classici del sacrificio della sposa Alcesti, di Orfeo e Euridice e dell’Odissea di Ulisse. Cita le leggende del Carso, Otello, Brecht, Ungaretti, senza trascurare Beckett, Pier Paolo Pasolini e il Mistero Buffo di Dario Fo. Poi all’improvviso, tra una barzelletta e l’altra, irrompe la realtà: quella storica evocata attraverso le trincee della Grande Guerra e quella odierna, quando Rossi in un immaginario colloquio tenta di spiegare all’anima di Berlinguer che ne è stato del suo partito in questi anni, della questione morale e del compromesso storico. Alla fine c’è spazio anche per il futuro e per la speranza: quel lontano 2025 in cui, dopo la rivoluzione delle Brigate Clown Criminali, la cultura diventerà infine un diritto-dovere di tutti.

CIMG3664Un’esperienza surreale dal ritmo vorticoso, una serata di delirio organizzato perfettamente orchestrata dalla verve comica dissacrante e tagliente del giullare e cantastorie Paolo Rossi, che riserva al pubblico non solo risate ma anche tanti spunti di riflessione. A partire dal cane del titolo (“L’amore è un cane blu”) che per amore ha resistito alla Bora e per il freddo è diventato blu, difficile anche solo da immaginare al giorno d’oggi, e proprio per questo simbolo nello stesso tempo dell’amore e della resistenza ai mali del nostro tempo: l’ipocrisia, il perbenismo, la sottomissione e la vigliaccheria.

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