Una cinquantina di persone ha sfidato – ieri pomeriggio alle 18 davanti alla Prefettura di corso Ercole d’Este – buio e temperature sottozero. Tutti erano lì per partecipare al presidio organizzato in contemporanea in diverse città d’Italia dal comitato ‘2 sì per l’acqua bene comune’. C’era anche qualche bandiera dell’Unione sindacale di base e della formazione ‘Ecologisti e civici’, sorta lo scorso novembre. Due gli striscioni: ‘il popolo lo vuole, acqua bene comune’ e ‘Monti, giù le mani dall’acqua’.
Il timore – o meglio la convinzione – dei partecipanti è che il Governo stia per mettere in atto un attacco al voto referendario del giugno scorso, nel quale, ricorda un loro volantino, “26 milioni di donne e uomini hanno votato per l’affermazione dell’acqua come bene comune e diritto umano universale e per la sua gestione partecipativa e senza logiche di profitto”.
“Quella di oggi è un’iniziativa preventiva – l’ha definita Elisa Corridoni, responsabile dei Rapporti con i movimenti per Rifondazione comunista, riferendosi – all’articolo 20 del decreto Cresci-Italia che il Governo si appresta a varare. Si tratta solo di bozze – prosegue –, ma quell’articolo inibisce il tentativo di ripubblicizzare il servizio idrico, perché lo sottopone ai vincoli del Patto di stabilità”.
Il presidio di ieri pomeriggio non è l’unica iniziativa che il Comitato ha in mente in questo periodo. Uno dei quattro quesiti votati in giugno, infatti, ha abrogato sette parole del comma 1 dell’articolo 154 del Decreto legislativo 152 del 2006, parole che però significano molto. Stando al risultato referendario, infatti, la tariffa non è più determinata tenendo conto anche “dell’adeguatezza della remunerazione del capitale investito” (queste le parole abrogate) com’era fino all’estate scorsa.
“Tale componente – recita un altro volantino distribuito dal Comitato – è pari al 7% della sommatoria di investimenti effettuati nel periodo di affidamento, al netto degli ammortamenti. In sostanza, incide sulle bollette per una percentuale che oscilla tra l0 e il 20%. Oggi, a distanza di alcuni mesi, risulta che nessun gestore abbia applicato la normativa in vigore dal 21 luglio 2011, diminuendo le tariffe del servizio idrico”.
Da qui la “campagna di obbedienza civile – riprende Corridoni –: un’autoriduzione delle bollette che la Corte Costituzionale ha reso praticabile ammettendo il quesito referendario”. Ecco dunque l’idea: “pagare le bollette relative ai periodi successivi al 21 luglio 2011 – data in cui un Decreto del Presidente della Repubblica, in seguito all’esito del referendum, ha abolito quelle fatidiche sette parole – applicando una riduzione pari alla componente delle remunerazione capitale investito”.