Spettacoli
5 Febbraio 2023
L'attore è tornato al Teatro Comunale Claudio Abbado nella doppia veste di interprete e regista con il classico “Il berretto a sonagli”

A Ferrara Gabriele Lavia e il suo Pirandello fra verità e pazzia

di Redazione | 4 min

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(foto di Marco Caselli Nirmal)

di Federica Pezzoli

Un intero spettacolo in equilibrio sulla soglia, quella fra pubblico e privato, fra la libertà dell’individuo e le regole imposte dalla società, tra la verità liberatrice – ma solo per alcuni – e le menzogne che permettono di sopravvivere. Questo è “Il berretto a sonagli” che Gabriele Lavia ha portato al Teatro Claudio Abbado di Ferrara nella doppia veste di attore e regista (in scena fino al 5 febbraio).

La porta che divide il banco del cavalier Fiorica dagli appartamenti privati del suo impiegato Ciampa non è quindi solo una soglia fisica, ma quella “soglia troppo affollata del nulla”, come scrive lo stesso Lavia nelle note di regia, la metafora di un confine, di una linea che non è sempre così chiara.

Nella Sicilia borghese degli anni Venti del Novecento, in un interno dagli arredi barocchi sbilenchi si grida allo scandalo dell’adulterio. Quello del cavalier Fiorica con la moglie del suo impiegato Ciampa e la signora Beatrice Fiorica determinata a denunciare i due amanti, al di là e nonostante le conseguenze, non solo su di lei, ma anche sul povero Ciampa. Il centro della storia diventa l’essere per gli altri, il chiedersi se noi stessi per noi stessi valiamo ancora qualcosa oppure se non esistiamo soltanto per gli altri e grazie agli altri.

Lavia con una regia attenta e puntuale descrive la pressione che la società esercita su dinamiche intime e familiari. Tutto si svolge sotto gli occhi di manichini in abiti borghesi ai bordi della scena, come se la vita fosse per statuto una recita per spettatori ingiusti e feroci e qualunque persona fosse costretta a vestire una maschera e divenire un personaggio. Ecco infatti che gli stessi protagonisti si mescolano a tratti a questi fantasmi-fantocci perché, come afferma Ciampa, ognuno di noi è, in fondo, “un pupo”. Quello che importa in questa società borghese patriarcale sono le apparenze, le ombre che vediamo sul palcoscenico, e per chi si ribella a questo ruolo sociale, come la signora Beatrice, c’è un prezzo da pagare. Senza la protezione dell’onorabilità e della rispettabilità, l’essenza dell’individuo è scoperta. E l’autenticità è relegata ai margini, dunque la moglie del cavaliere viene obbligata a far credere di essere pazza, per smentire la verità emersa sul suo matrimonio e salvare così la condizione di tutte le persone coinvolte. Come afferma Ciampa: “Niente ci vuole a far la pazza, creda a me! Gliel’insegno io come si fa. Basta che lei si metta a gridare in faccia a tutti la verità. Nessuno ci crede, e tutti la prendono per pazza”.

Sì perché dall’altra parte c’è lui, che quell’autenticità non l’ha cercata e però si trova suo malgrado marchiato. Lavia è capace di evidenziare la contraddittorietà di questo personaggio che infastidisce e allo stesso tempo intenerisce, soprattutto quando nel confronto finale con la signora Beatrice, chiedendole se avesse pensato a lui quando ha ordito il piano per denunciare gli amanti, le domanda e si domanda: “Oh, che ero niente io?” La verità assoluta, l’assoluta sincerità non sono praticamente mai sostenibili nel mondo reale, ecco perché solo un pazzo può permettersele.

Interessante anche la scelta di mescolare le due versioni dell’opera, quella del 1916 in siciliano con il titolo “’A birritta cu’ i ciancianeddi”, e quella del 1918 in italiano: da una parte la famiglia borghese che parla in italiano – Beatrice, il fratello Fifì e la madre Assunta La Bella – dall’altra Ciampa, la rigattiera Saracena, la cameriera Fana e la sua saggezza popolare, e il delegato Spanò, che parlano in dialetto. E in dialetto è anche una voce fuori campo, misteriosa e ancestrale, che sembra rimandare ai valori concreti di quei vinti lasciati indietro dalla fiumana del progresso, come pensava un altro siciliano, Giovanni Verga.

Un classico di Pirandello messo in scena con intelligenza e grandissimo mestiere, che coinvolge gli spettatori grazie alle scelte registiche e alla solidità della squadra in scena. Al fianco di Ciampa- Gabriele Lavia: Federica Di Martino nei panni della signora Beatrice Fiorica; Francesco Bonomo in quelli del fratello di lei Fifì La Bella; Matilde Piana come la rigattiera Saracena; Maribella Piana come la vecchia serva Fana; Mario Pietramala, il delegato Spanò; Giovanna Guida-Assunta La Bella; e Beatrice Ceccherini-Nina Ciampa.

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