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3 Gennaio 2023
Per raccontare il primo mondiale d’inverno della storia della competizione il Qatar ha scelto una strategia molto moderna, quella di usare gli influencer, anche a costo di non dire la verità

Mondiali in Qatar: tra influencer e propaganda

di Redazione | 3 min

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Mondiali in Qatar sì, Mondiali in Qatar no, ormai da mesi il tema è stato divisivo, per ragioni diverse (e tutte molto fondate a ben vedere). Innanzitutto il tema lavoratori. Per costruire in tempo record tutte le strutture necessarie alla competizione, il governo del Qatar ha assoldato schiere di migranti che hanno fornito manodopera a basso costo e a bassissima sicurezza.

Le statistiche sono inquietanti. Si parla di circa 6.500 morti sul lavoro; per le fonti ufficiali qatariote ne risultano solo 3. È nell’enormità della distanza tra le stime che sta tutta l’assurdità.

Oppure il tema ambiente. Hanno fatto scalpore i potenti sistemi di aria condizionata installati all’interno degli stadi (all’interno?!?!) per mantenere una temperatura di circa 20 gradi per tutto il tempo della partita. Tra questo, la costruzione e lo smontaggio degli stadi, i processi di desalinizzazione dell’acqua (siamo nel deserto, ndr) e la fornitura di energia per gli alloggi, la Fifa calcola che il torneo in totale produrrà circa 3,6 milioni di tonnellate di anidride carbonica, 1,5 milioni in più di quanto è stato emesso per l’edizione di Russia 2018.

A questo si aggiunga la politica estremamente restrittiva per quanto riguarda i diritti civili e i frequenti casi di censura sul tema sia in campo che fuori. 

Insomma, di motivi per criticare il torneo e, di riflesso, il Paese ospitante ce ne sono a centinaia. Eppure il Qatar, che sotto molti aspetti è stato criticato per essere retrogrado e conservatore, ha messo a punto una strategia modernissima: assoldare un vero e proprio esercito di influencer, per diffondere in rete un’immagine di sé migliore rispetto a quella che ne danno le testate internazionali. 

Per quanto riguardo il numero di Fan Leader (così si chiamano gli influencer scelti per l’occasione) che stanno lavorando per pubblicizzare in positivo il Qatar, non ci sono stime precise – che strano: Le Parisienne dice 500, ma potrebbero essere facilmente sopra i 1600. Tutti ovviamente pagati. L’intera operazione, infatti, ha un budget che va da circa 900 mila euro fino ai 3 milioni, a cui vanno assommati i costi di vitto e alloggio. 

Il risultato è un flusso ininterrotto di contenuti digitali fatti in presa diretta, ma per finta, avendo sempre la sensazione che ciò che si vede è più simile a una vetrina che alla verità. E se è vero che da tempo gli influencer non esercitano più il fascino del racconto “fatto da chi è come te”, è altrettanto lecito chiedersi se in questo caso si possa parlare di semplice prestazione contrattuale o, piuttosto, di propaganda vera e propria.

Del resto, quando la forza persuasiva degli influencer incontra interessi politici più o meno senza scrupoli i risultati non sono mai indolori anche perché l’impressione è che le stories siano un po’ come le bugie: a forza di ripeterle si finisce per crederci.

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