Lagosanto
22 Febbraio 2023
La Corte d'Appello di Bologna ha condannato l'Azienda di via Cassoli a risarcire i famigliari di Cristiano Turati con una somma complessiva pari a 443mila euro

Morì dopo un ricovero all’ospedale del Delta. L’Ausl pagherà un maxi-risarcimento

di Redazione | 4 min

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La Corte d’Appello di Bologna ha condannato l’Ausl di Ferrara al risarcimento dei danni nei confronti dei famigliari di Cristiano Turati, l’uomo morto dopo il ricovero all’ospedale di Lagosanto il 20 ottobre del 2016 a soli 46 anni.

L’Azienda sanitaria di via Cassoli ha già provveduto a saldare rispettivamente due importi pari a 166.890 e 200.000 euro nei confronti dei due eredi superstiti, assistiti dagli avvocati Paolo Scaglianti del foro di Ferrara e Giacomo Matteoni del foro di Bologna, per un totale di 443.000 euro complessivi anche degli interessi, della rivalutazione dalla data dell’evento al saldo e delle spese legali di primo e secondo grado.

L’inizio dei fatti risale al 4 novembre 2009, quando la vittima, una volta arrivata al pronto soccorso, viene ricoverata nel reparto di Gastroenterologia dell’ospedale del Delta di Lagosanto, a seguito della comparsa di episodi di vomito associati a un intenso bruciore e fastidio gastrico che proseguono da alcuni giorni.

Il giorno successivo poi, per il precipitare della situazione legata alle funzioni cognitive e comportamentali dell’uomo, vengono richieste una serie di consulenze psichiatriche, a seguito delle quali al paziente vengono somministrati benzodiazepine e antipsicotici, con dosi che poi vengono aumentate nei giorni successivi, insieme alla decisione dei sanitari di legargli le braccia alle sponde del letto.

Il 10 novembre però, a seguito dell’insorgere di desaturazione e dopo alcune ore in cui l’uomo si presentava ‘assopito’, vengono successivamente richieste consulenze cardiologiche e pneumologiche, con il paziente che poi viene sottoposto a Tac e raggi x, sotto sedazione, dove viene riscontrato che la causa della desaturazione era da ricondurre al carico di benzodiazepine utilizzato per sedarlo.

La stessa sera, dopo un ultimo accesso da parte del personale infermieristico delle 20.30, l’uomo viene ritrovato in arresto cardio-respiratorio alle 21.45.

“Le tardive manovre rianimatorie – spiega l’avvocato Paolo Scaglianti, sulla base di quanto emerge dalla sentenza – messe in atto dal personale sanitario, erano conseguenti all’omissione di controllo e mancata sorveglianza, nonché alla inadeguata valutazione dei parametri vitali dello stesso, il cui stato comatoso era ascrivibile al mancato approfondimento clinico-diagnostico, con specifico riferimento alla somministrazione massiva di farmaci sedativi in paziente epatomatico, associato all’omissione di controllo. In più, il paziente era contenuto con le braccia al letto, impendendo di fatto allo stesso, di muoversi in caso di necessità”.

Una volta rianimato, l’uomo è poi stato trasferito in terapia intensiva, in coma post-anossico, sottoposto a vari esami e controlli, dove è rimasto fino all’8 febbraio 2010, per poi venire trasferito nel reparto di lungodegenza, e successivamente ad una struttura privata in stato comatoso, da cui non si è più ripreso, sino al giorno della morte.

“Da qui – prosegue il legale – si ravvisano già gravi elementi di responsabilità medica, al fine di pervenire ad un corretto, precoce e tempestivo inquadramento diagnostico del quadro clinico che si concretizzava nell’arresto cardio-respiratorio”.

In primo grado, con la causa di risarcimento danni iniziata nel 2015, il tribunale di Ferrara, ha inizialmente rigettato la domanda di risarcimento dei danni richiesti, dal momento che la valutazione del medico legale, depositata nel precedente accertamento tecnico preventivo, aveva escluso un errore dei sanitari nella somministrazione dei farmaci, e in particolare dei sedativi.

Per il tribunale, dunque, non c’era stata  né imperizia né imprudenza nella somministrazione dei farmaci e nel loro dosaggio, le scelte dei sanitari furono corrette e necessarie, tanto da classificare le crisi cardiache come un evento imprevisto e imprevedibile.

In secondo grado invece, dopo aver rimesso la causa in istruttoria per una migliore valutazione della vicenda, la Corte d’Appello di Bologna ha chiamato il medico legale a chiarimenti, su specifici quesiti le cui risposte potessero chiarire la responsabilità medica.

La Corte, quindi, sulle conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio, ha valutato la condotta dei sanitari, sia in relazione alla somministrazione delle medicine che al monitoraggio, non adeguato e non accorto delle condizioni del paziente.

“Se fossero state attentamente valutate le mutate condizioni del paziente, caratterizzate da maggior assopimento e minore agitazione che, secondo lo stesso Ctu, avrebbero dovuto essere interpretate come «un cambiamento eventualmente foriero di possibili complicanze» – si può leggere nella sentenza- sarebbe apparsa evidente la necessità (eventualmente ad esito di una consulenza anestiosologica che prudenzialmente poteva essere richiesta) del trasferimento del paziente in altro reparto o, quanto meno, della predisposizione degli strumenti di monitoraggio“.

“Ai sanitari – conclude il documento della Corte d’Appello – che hanno lasciato il paziente del tutto privo di qualunque sorveglianza per un’ora e un quarto (20.30 – 21.45) va rimproverato di non aver avuto la corretta percezione del peggioramento delle condizioni del paziente, di non avere avuto la corretta percezione del peggioramento delle condizioni dello stesso paziente e di non averle prontamente fronteggiate, o con un trasferimento in altro reparto, o con l’applicazione di strumenti di monitoraggio in modo da rendere possibile un intervento più tempestivo che, secondo lo stesso Ctu, «avrebbe potuto ridurre o forse anche evitare le conseguenze altamente invalidanti patite dal paziente»”.

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