Cronaca
23 Marzo 2016
Il racconto a Estense.com di due ragazze ferraresi nell’inferno di Bruxelles

“Sono scampata per miracolo all’attentato”

di Marco Zavagli | 4 min

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Avrebbe dovuto esserci anche lei nella stazione di Maelbeek. Tutti i giorni, per andare al lavoro, Laura Felisatti, ferrarese, prende la metro fino a Merode, vicino al quartiere Ue. Da dieci anni vive a Bruxelles, dove lavora come project manager per una società di consulenza. Ieri Laura ha scelto di andare a piedi, anche se era in ritardo. A “salvarla” è stata la notizia giunta dalla radio mentre si stava preparando per uscire: due esplosioni all’aeroporto internazionale di Zaventem.

“Avrei preso quella metro come ogni giorno – ci racconta al telefono -, ma dopo quella notizia ho preferito evitare qualsiasi tipo di trasporto pubblico. Posso dire di essere scampata per miracolo all’attentato. Me lo sentivo che la serie di attentati non sarebbe finita con l’aeroporto. E d’altronde dopo l’arresto di Salah Abdeslam nei giorni scorsi, c’era da aspettarselo che prima o poi sarebbe successo”. Mentre ci parla, dalla finestra del suo ufficio Laura guarda il quartiere ormai militarizzato. “Tutte le strade sono chiuse, si sentono le sirene delle ambulanze e della auto della polizia. La mia coinquilina è dovuta rimanere in casa perché il perimetro attorno a casa nostra, appena venti metri dalla stazione di c, è completamente circondato”.

È dalle 8.30 della mattina che Laura riceve telefonate e invia chat e messaggi per tranquillizzare parenti e amici. “Il primo messaggio è stato per mia madre. Ora stiamo cercando di lavorare, anche se non è certo il clima giusto. Tra colleghi cerchiamo di tranquillizzarci a vicenda, ma non è facile”. La tensione dura per ore, anche perché “viviamo con la preoccupazione che possa essere successo qualcosa ai nostri amici che lavorano nella zona delle esplosioni e all’aeroporto. C’è anche chi per lavoro o vacanza doveva tornare in Italia. Io stessa sabato prossimo tornerò a Ferrara, ma partirò da Charleroi (a circa 45 km dal centro di Bruxelles,ndr)”.

Ora l’imperativo per Laura è “tornare alla normalità”. Anche se la normalità a Bruxelles non è proprio all’ordine del giorno. “Ogni giorno quando prendi la metro ti guardi in giro, non sei sereno. Puoi sussultare per una valigia dimenticata, per un grido improvviso, per un volto ‘sospetto’. D’altronde è questo l’obiettivo finale del terrorismo. Far vivere nel terrore”. Ma una critica Laura la rivolge anche alle autorità di pubblica sicurezza: “sa cosa penso? che tra la bomba all’aeroporto e quella in metro è passata un’ora.  Avrebbero potuto evacuare in tempo le stazioni con un semplice annuncio. La gente che era in giro era ignara di ciò che stava accadendo”.

Lo stesso pensiero è venuto in mente a un’altra giovane donna ferrarese a Bruxelles, Giulia Malavasi, in Belgio da tre anni, che lavora come tecnico radiologo all’ospedale Etterbeek-Ixelles, in pieno centro. Davanti al suo reparto ha visto sfilare le barelle con i feriti. “Dopo che hanno riempito i grandi ospedali hanno iniziato ad arrivare anche qui. Ho visto per la gran parte persone con ustioni e con ferite da schegge”. Giulia è “sconvolta ma non stupita”. Dopo l’arresto dell’attentatore di Parigi “si era saputo che l’Isis stava pianificando degli attentati per la prossima settimana e credo che abbiano anticipato i tempi nel timore che Abdeslam potesse rivelare qualcosa”. Si sente un boato dall’altra parte della cornetta. “Adesso gli artificieri hanno appena fatto saltare un pacco sospetto vicino all’università, è stato evacuato il campus; sono chiusi tutte le scuole e i centri commerciali; i mezzi di trasporto sono fermi. Siamo in allerta 4”.

Giulia non ha preso i mezzi di trasporto per andare al lavoro. Ma questa è una precauzione che adotta da tempo: “dal giorno degli attentati di Parigi vengo sempre in bici, da brava ferrarese”. La notizia delle bombe l’ha appresa appena giunta in reparto. “Il primo pensiero non è stato andare via, ma andare a vedere se c’è bisogno di te, è il nostro lavoro. Non ti puoi far bloccare vita dai terroristi, la paura non deve prendere il sopravvento, noi che lavoriamo in ospedale abbiamo una missione”.

E così la giornata è passata con un orecchio alla radio e le mani impegnate a curare i feriti. E la testa probabilmente ai suoi cari, che fortunatamente ieri erano in casa (“Sono malati, non si sono mossi da lì”) e alle vittime di Zaventem. “Parto sempre da lì. Si entra normalmente, senza controlli. E nell’atrio partenze, prima del check in, c’è sempre tanta gente. Ci sono anche bar, negozi, locali. Forse il pericolo attentati è stato preso un po’ sottogamba”.

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