Attualità
3 Febbraio 2016
Intervista. Il giornalista a teatro con Slurp parla anche di Aldro e del vescovo Negri

Travaglio e l’orgia della zerbinocrazia

di Marco Zavagli | 6 min

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634be512-ba8e-4771-a2e9-098e45afeec9Lecchini, cortigiani, boiardi di partito, pennivendoli della Seconda Repubblica. Marco Travaglio li mette tutti in fila in una esilarante orgia della zerbinocrazia. È “Slurp”, la trasposizione teatrale dell’omonimo libro uscito la scorsa estate, spettacolo che il direttore del Fatto Quotidiano porterà a Copparo sabato 6 febbraio al De Micheli.

Il giornalista mette alla berlina colleghi, politici, imprenditori, manager (anzi, “magnager”) e il loro modo tutto agiografico di confrontarsi con il potente di turno. Ne esce un’epopea dal riso amaro, o dall’amarezza divertita che ricorda da lontano – altri tempi, stessi costumi – la categoria coniata da Gramsci del “lorianesimo”(da Achille Loria, economista e sociologico non troppo apprezzato dal fondatore del Pci), per descrivere “alcuni aspetti illustri e bizzarri della mentalità di un gruppo di intellettuali italiani e quindi della cultura nazionale”.

E in “Slurp” di illustre e bizzarro c’è tutto. Tutto quello che gli umil lecchini di oggi hanno detto e scritto.

Nello spettacolo si fanno nomi e cognomi?

Altroché! Ne citiamo almeno una cinquantina. Ne leggiamo le gesta, ne decantiamo le opere testuali. Sono un esercito.

Nell’accolita dei cortigiani però non ci sono solo giornalisti. Compaiono anche opinionisti, intellettuali…

… e politici. Da quando non vengono più eletti perché sono nominati dalle segreterie dei partiti, i parlamentari non devono cercare più il consenso popolare ma quello del capo, sono proni, consumano la loro lingua da mane a sera nei salotti televisivi per ottenere un posto, una promozione. Sono i nuovi fantozzi.

Da che anni partiamo per raccontare la saga delle ghiandole salivari più prolifiche d’Italia?

All’inizio c’è qualche incursione nella propaganda mussoliniana, semplicemente per far notare come le tecniche di lecchinaggio sono tipiche dei regimi totalitari. Sono i regimi totalitari che pretendono certi lavoretti di lingua. Nelle democrazie non succede, di solito. O se succede è per moti spontanei di alcuni personaggi. C’è molta poca differenza tra culto della personalità del capo e culto della personalità dei capi nella cosiddetta democrazia italiana. Basta prendere una cronaca renziana, o montiana, dalemiama, berlusconiana e declamarla con voce nasale. Viene fuori paro paro un cinegiornale Luce. Anche i temi sono ricorrenti: “il capo è insonne”, “non dorme mai”, “è aitante”, a volte “è molto bello”. Se ne elogiano le virtù canore, quelle muscolari… Dopo questo sguardo sul Ventennio viene il grosso dello spettacolo, concentrato sui giorni nostri.

Quando si raggiunge l’apice dell’esplosione di saliva?

Ci sono dei picchi. Uno è sicuramente sotto Mani Pulite, quando Di Pietro viene osannato dagli stessi che fino al giorno prima osannavano Craxi. Subito dopo le lingue si riconvertono al lecchinaggio di Berlusconi. Sotto di lui si tocca il picco più alto; e questo per una ragione anche molto pratica. I nove decimi dei giornalisti o intellettuali li stipendia lui, o direttamente perché sono suoi impiegati o indirettamente perché ospiti delle sue trasmissioni.

Come ti spieghi che alcuni di questi personaggi godano però di stima e consenso?

Questo è il vero problema. Chi deve sentirsi messo in discussione sono anche i cittadini. Io credo che la nostra informazione sia cosi malridotta anche perché il pubblico pagante, che si compra i giornali o che si paga il canone per avere un servizio,ha rinunciato senza nemmeno combattere a un diritto costituzionale che è quello a una informazione libera e critica. Se ci fosse una rivolta del pubblico, prima di perdere anche l’ultimo lettore e telespettatore i direttori cambierebbero regime. E invece c’è questa passività che si traduce spesso in una voglia di non sapere. Me ne rendo conto quando molti lettori ci leggevano con passione perché attaccavamo Berlusconi, e oggi sono disorientati quando critichiamo Monti o Napolitano o Renzi.

Il lettore però è anche un prodotto dell’informazione. Una cattiva lettura genera un cattivo lettore.

È il cane che si morde la coda. Se esistono persone, e ce ne sono parecchie, che certe cose non le vogliono sapere per non doversi preoccupare troppo, e soprattutto per non doversi mettersi in discussione troppo, allora abbiamo la quadratura del cerchio: l’informazione consolatoria vince verso l’alto, perché è quella pretesa dal potere, e vince verso il basso, perché anche il lettore si crogiola nel sentirsi dire che le cose stanno migliorando, che stiamo uscendo dalla crisi, che non bisogna disturbare il manovratore… A me capita spesso di dovermi discolpare per aver dato una notizia o aver fatto una critica.

Penso alla contestata ‘intercettazione’ del vescovo Negri in treno.

Quella è una storia emblematica, che somiglia molto alla storia del nostro giornale. Il “Fatto” nasce con la notizia di Letta indagato. Una notizia che era a disposizione di tutte le redazioni italiane da un anno, ma nessuno aveva avuto il coraggio di scriverla. Noi dovevamo uscire a maggio con il primo numero, che avrebbe aperto con quello scoop. Poi per un ritardo siamo slittati a settembre. Temevamo che la notizia marcisse. E invece siamo arrivati al 24 settembre tranquilli come delle pasque.

E il vescovo di Ferrara cosa c’entra?

La storia del vescovo Negri è piccolina ma analoga. Appartiene a quel filone di notizie che noi diamo non perché siamo stati bravi a trovarle, ma perché gli altri non le han volute dare. Un collega, credo in pensione, collaboratore di un noto gruppo editoriale, prende il treno a Roma, sente Negri fare quelle sparate contro il Papa. Propone la cosa al suo giornale che gliela rifiuta e allora si rivolge a noi. E noi, una volta verificato che era testimone oculare e auricolare, l’abbiamo data.

Cambiamo un attimo scenario. Dal palco passiamo allo schermo. In questi giorni molti politici del Partito democratico han chiesto la testa di Massimo Giannini, conduttore di Ballarò, per aver parlato di rapporto incestuoso tra il ministro Boschi e Banca Etruria.

Anche questo è emblematico del clima che si crea quando dalla televisione fa sparire tutte le voci critiche. Non c’è più Santoro, non c’è più Luttazzi, Biagi è morto, la satira è sparita totalmente dalla tv pubblica. Ecco allora che alla fine ti meravigli per una affermazione banale come quella sulla Boschi e Banca Etruria. Chissà quante volte Giannini ha scritto sul suo giornale di rapporti incestuosi di politici parlando di conflitti di interesse. Sono cose contro-natura che invece purtroppo accadono. Questo voleva dire, non credo ipotizzasse rapporti sessuali tra il ministro e suo padre! eppure c’è stata una tale levata di scudi che fa riflettere. Ormai stanno veramente, come diceva Montanelli, ripulendo la stalla dagli elementi spuri. Hanno un concetto della libertà di stampa che non saprei ritrovare in altre democrazie.

Forse forzo il passaggio. Ma la mancanza di una stampa attenta e protetta mi fa pensare ai difficili esordi della vicenda Aldrovandi. Per mesi il cosiddetto cane da guardia della democrazia è rimasto accucciato. Il caso poi è scoppiato grazie al blog di Patrizia Moretti.

Penso che questo sia un altro aspetto del leccaculismo. Chi sono io per mettermi contro le forze dell’ordine? chi sono io per smentire una versione ufficiale? In realtà la domanda dovrebbe essere: che altro dovrei fare io se non andare a cercare ciò che i comunicati stampa delle varie autorità e istituzioni vorrebbero nascondere? Per rilanciare i comunicati bastano i vari uffici stampa.

Torniamo a “Slurp”. Con te ci sono Valerio Binasco alla regia e Giorgia Salari sul palco.

Binasco è un grande del teatro. Ha trasformato un recital in uno spettacolo e in un avanspettacolo, grazie all’intervento di una attrice drammatica che riesce a interpretare il personaggio del leccapiedi con grande convinzione. Questo trasporto è la vera trovata comica, perché alla fine lo spettacolo diventa molto satirico. C’è da morire dal ridere proprio grazie al materiale testuale originale. Sono tutte frasi scritte o dette dai lecchini. E non sembra possibile che siano cose vere, si è portati a credere che ce le siamo inventate, che le abbiamo ritoccate… Oltre al ridere, però, alla fine credo che lo spettacolo faccia anche riflettere. La speranza è proprio che il pubblico sia portato a riprendersi il suo diritto all’informazione.

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