Il pubblico ministero Ombretta Volta aveva chiesto nove anni di carcere. Una pena severa ma comprensibile, se si conta che le vittime del suo stalking erano minorenni e che l’imputato era recidivo e pluricondannato per reati simili. Nove anni scesi a sei per la scelta del rito abbreviato e infine divenuti quattro come da verdetto del gup Silvia Tassoni.
Daniel Punzetti rimarrà ancora tanto tempo in carcere, dove è entrato ad aprile, da quando la squadra mobile aveva posto fine alla serie interminabile di minacce e intimidazioni ai danni di due ragazzini di 14 e 15 anni.
Le persecuzioni nei confronti dei due ragazzini, i cui genitori si sono costituiti parti civili attraverso gli avvocati Luca Morassuto e Marco Linguerri, erano iniziate nel luglio del 2014, per protrarsi fino al febbraio di quest’anno. In mezzo, da dicembre, ci sono le querele intentate dalle famiglie non appena sono venute a conoscenza dello stalking.
Punzetti, che a 26 anni vanta un corposo casellario giudiziario, con quattro ammonimenti del giudice, un ulteriore arresto e altre condanne sempre per episodi simili, sceglieva accuratamente le sue vittime. Tanto da far scrivere al gip Silvia Marini che ad aprile firmò l’ordinanza di custodia cautelare uno “stalker seriale”.
Questo alla luce di un curriculum preoccupante: a soli 18 anni, nel 2008, cominciò la lunga trafila giudiziaria che lo ha portato già a quattro ammonimenti del questore, quattro condanne passate in giudicato e una in primo grado. E anche durante l’affidamento in prova ai servizi sociali dal 2010 al 2012 continuò imperterrito a seminare terrore tra gli adolescenti ferraresi.
Lui, alto un metro e 90, body builder da cento chili, preferiva individuare ragazzini di bell’aspetto, esili, timidi. Il primo approccio era del classico bullo dei fumetti: “so che parli male di me in giro”. Un modo che difficilmente non aveva esito positivo. La vittima prescelta rimaneva subito intimorita, quando non terrorizzata. Ottenute le scuse o le giustificazioni del malcapitato scattava la seconda fase, la circonvenzione: “ho capito che sei un bravo ragazzo, credo che possiamo diventare amici”.
La trappola era ormai scattata. Il minore di turno, scena che si è ripetuta per entrambi i ragazzini, si vedono arrivare messaggi da sconosciuti su facebook. Il tenore non era certo rincuorante: “so che sei amico di Punzetti – questo all’incirca il contenuto -; trattalo bene perche chi è suo amico è nostro amico, chi ne parla male è nemico pubblico”. A volte arrivavano anche minacce dirette: “sappiamo che parli male di Daniel, stiamo venendo da te a spaccarti le ossa”.
Il tranello si componeva infine giocando sulla comprensibile curiosità delle vittime di conoscere chi fossero questi sconosciuti amici. E non appena cercavano su internet i nomi degli ignoti ecco spuntare corrispondenze con nomi collegabili agli ambienti malavitosi, con assassini, camorristi, mafiosi, ecc. Tutti per carità esistenti. Ma che nulla c’entravano con quei profili facebook rivelatisi poi dei fake, dei falsi, creati ad hoc dal 26enne.
L’ultima fase del diabolico piano era dedicata alle rassicurazioni: “guarda, siamo a posto con quelli, ci ho parlato io e non ti faranno nulla”.
Fasi che però duravano mesi. Costellate inoltre da altre, chiamiamole così, intemperanze. Che le indagini però non sono riuscite ad attribuire a mano certa. Come diversi atti vandalici sul portone dell’abitazione del 15enne: prima il campanello preso a martellate, poi un piccolo incendio innescato tramite liquidi infiammabili, e infine una svastica di vernice pitturata nottetempo sulla soglia.
Lo stalking finiva per avere conseguenze anche per gli amici delle vittime. In’un’occasione, in discoteca, Punzetti aveva minacciato altri adolescenti. Uno di questi venne anche costretto a inginocchiarsi e prendersi schiaffi in faccia.
Verso dicembre le pressioni erano ormai diventate insostenibili e i due ragazzini si sono confidati con i rispettivi genitori. Da qui partì la denuncia che portò all’arresto prima e al processo poi. Fino alla condanna a quattro emessa dal tribunale, che ha anche disposto il risarcimento di 10mila euro per i ragazzi e 5mila per i genitori.
Alla lettura della sentenza l’imputato non era presente. Aveva solo affidato al suo difensore una lettera di scuse nella quale si assumeva la responsabilità di quanto commesso. Per la cronaca, nemmeno le vittime erano presenti, “troppo terrorizzate – spiega l’avvocato Morassuto – dall’idea di dover rivedere di persona il loro aguzzino”.