“Un avvenimento senza precedenti. La società ha impedito ai lavoratori di scioperare”. Sono le dichiarazioni a caldo di Fausto Chiarioni, reduce dal presidio tenuto ieri mattina dalla Filctem Cgil davanti al petrolchimico per protestare contro l’annunciata chiusura dell’impianto Ctz di Versalis e della Centrale energetica Cef.
Un presidio che faceva seguito allo sciopero di 4 ore indetto in solitaria dalla Camera del Lavoro, preoccupata per il futuro dell’intero comparto chimico a Ferrara, visto l’annuncio da parte di Eni dello slittamento degli investimenti da 200 milioni (una nuova linea produttiva di gomme per il futuro impianto XXVII, il revamping di tre linee dell’impianto XXVI e un intervento conservativo sull’impianto X) dal 2016 al 2019 e della chiusura per i prossimi due anni dell’impianto Ctz (per la produzione di catalizzatori).
Uno sciopero che, secondo la chiave di lettura del segretario Filctem, per alcuni lavoratori – quelli addetti all’Impianto XXVI di Versalis – non è stato possibile seguire. Di fronte all’annunciato sciopero di 4 ore per turno è arrivata alla vigilia una lettera dall’azienda: “trattandosi di uno sciopero non unitario, le modalità di applicazione dello stato di agitazione così come proposte dalla sua organizzazione non sono perseguibili. Per tale ragione verrà considerato in sciopero solo il personale che non si presenterà sul proprio posto di lavoro”. Questa la comunicazione firmata dal responsabile risorse umane dell’impianto, che proseguiva: “Per contro, al fine di non ledere il diritto di sciopero ed al contempo garantire la gestione delle attività industriali nel rispetto dei migliori standard di sicurezza, verranno applicate le azioni gestionali che riterremo utili al raggiungimento di tali scopi”.
Cosa è successo? “La nostra proposta prevedeva – ricostruisce Chiarioni -, in caso di adesione dei lavoratori, la sospensione dell’attività di produzione, con il conseguente blocco dell’impianto XXVI. In questi casi – dal momento che all’interno si raffinano materiali ad alte pressioni – va comunque garantito un presidio, composto di una squadra di emergenza che normalmente viene indicata dalla stessa società”. Chi viene nominato non può astenersi dal lavoro, proprio per ragioni di causa maggiore, la sicurezza di ambiente e persone. Una sorta di “precettazione privata”, comunemente accettata.
Questa volta l’azienda non ha fatto alcun nome, “spostando sulle spalle dei dipendenti la scelta tra lasciare incustodito l’impianto o fare sciopero – prosegue Chiarioni -. Nessuno sapeva cosa fare e alla fine si è deciso di non lasciare senza presidio una attività potenzialmente pericolosa”. L’alternativa – più operosa e che richiede una decisione apicale – sarebbe stata svuotare l’impianto. E invece “la sera prima sono stati contattati i lavoratori dell’impianto che si sono sentiti porre di fronte a un’alternativa: o state a casa tutto il giorno (e quindi otto ore di sciopero contro le 4 indette dalla Cgil) o venite al lavoro”.
La Filctem ha fatto intervenire sul posto anche la Digos, per chiedere invano una mediazione con l’azienda.
“Siamo molto preoccupati per il futuro di questa attività a Ferrara – torna a sottolineare il segretario Filcetem -. Si è creato un precedente estremamente preoccupante, un punto di svolta, una limitazione del diritto di sciopero”; tanto che la Filctem sta valutando con il proprio ufficio legale un ricorso ex art. 28 dello Statuto dei lavoratori, che punisce le condotte antisindacali.
Un ricorso che potrebbe aggravare ulteriormente la tensione tra le parti, cosa che Vittorio Caleffi, segretario della Uiltec-Uil si augura non avvenga. “Non voglio entrare negli affari di altri e sostengo che la Cgil, così come aveva il diritto di dichiarare in autonomia lo sciopero ora ha anche quello di agire ex art. 28, spero solo che ci possa essere un passo indietro da parte di tutti”. Caleffi proprio ieri ha accolto a Ferrara il suo segretario nazionale, Paolo Pirani, giunto in città per capire fino a che punto è a rischio il futuro della chimica. “Il problema – aggiunge Caleffi – è decidere come portare avanti le questioni. A nostro avviso serve un tavolo più ampio, nazionale. Serve rasserenare il clima per risolvere la questione Cef, serve pensare non solo alle aziende coinsediate ma anche a nuovi insediamenti”.
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