Du iu śpich frares?
29 Agosto 2021

Viaggio del violinista afgano dagli occhi neri

di Maurizio Musacchi | 7 min

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Carissimi amici del dialetto e delle tradizioni di Ferrara. Oggi vi propongo una cosa che non ha nulla di ferrarese, salvo l’autore. Scrissi tempo fa questo racconto breve, ispirato vagamente ad una storia vera. Una di quelle storie riguardanti centinaia di migliaia di persone che si spostano fuggendo dai loro paesi, incontrando mille traversie e purtroppo anche la morte. Ora è
drammaticamente in vetrina l’Afghanistan. Ecco dunque il pretesto per presentarvi questo triste, drammatico racconto, in parte di fantasia, ma rispecchiante una triste attuale realtà.

Viaggio del violinista afgano dagli occhi neri

Le due anziane donne, di sedute su una panchina che guarda le montagne sopra Bardonecchia, stanno chiacchierando. Rosina, è la più ciarliera. Rotondetta, dal fisico che ricorda quello di una delle tante massaie italiane che, brave a cucinare, spesso non disdegnano di usufruire del prodotto della loro manualità. Capelli tinti in nero, usa abbondantemente rossetto per labbra e fondotinta al viso per apparire un po’ più giovane. Anche nella scelta degli abiti,predilige quelli a colori vivaci. Francesca, ex
insegnante, è più segaligna. Capelli lasciati al naturale, grigi, ma con una canizie inesorabile che avanza nella maggior parte della chioma. Indossa un completo grigio, elegante, ma poco appariscente. Ad un tratto, nel bel mezzo della conversazione, Rosina, zittisce e guardando, quasi attonita verso le montagne dinnanzi a loro: «Eccolo, senti? Il violino di Nadir… lo sento spesso nelle serate che anticipano neve ! Senti?» Francesca, osserva l’amica, stupita e pure incredula nei confronti di quella strana affermazione, uscita dalla bocca di una donna che lei conosce posata e nient’affatto visionaria. Attende un attimo, la scruta da vicino ed: «Scusa, ma che dici ? Musica?…» Poi, vedendo il turbamento della mica e il cenno che le fa, come per zittirla, cerca di assecondarla ascoltando. Stanno in silenzio per un po’. Tutto ad un tratto, Francesca sbianca in volto e abbracciando Rosina, quasi per darsi un po’ di contegno e pure coraggio: « Mio Dio, lo sento anch’io è il violino di Nadir…ma non è possibile è la Romanza in fa maggiore di Beethoven che James Last aveva ribattezzata Romance… che prediligeva quel povero ragazzo, ma ne suonava altre, sempre malinconiche. Appena sentiva una musica, l’imparava e la poteva suonare perfettamente. Ma non può essere lui…Nadir è morto!» Si guardano, poi Francesca chiede all’amica: « Ma tu la sai la storia di quel ragazzo? Io l’ho ospitato per qualche settimana, faceva lavoretti. Mi raccontò la sua storia, non so se sia tutto reale, ma sicuramente è verosimile.» Rosina, pur ancora turbata, esclama: « Non so molto, lo vedevo e sentivo suonare, quando in piazza, appoggiava il pakol, quel copricapo tipico degli afgani, sul selciato sperando di raccogliere qualche moneta, che a dire il vero raccattava era troppo bravo. Mi colpirono i suoi occhi nerissimi e l’espressione quasi tragica del suo volto, seppur adolescente»: « Vero…vero, era un ragazzo,» Risponde Francesca «, ma aveva vissuto tanto aspramente da apparire quasi vecchio negli atteggiamenti. Diceva che era cresciuto in una piccola località della quale non poteva parlare, non dava riferimenti perché diceva che se avessero saputo qualcosa di lui, i talebani avrebbero ucciso qualche componente della sua famiglia. Gli avevano assassinato un fratello perché non voleva entrare nelle loro brigate. Il padre gli diede un po’ di dollari, racimolati perché faceva piccoli commerci con i militari di stanza nel
villaggio. Pochi anni fa, poco più che bambino, un militare italiano gli insegnò a suonare il violino. Visto come apprese velocemente e come s’appassionò alla musica, glie lo regalò. Da allora, Nadir, ascoltando radio o quel po’ di televisione con musiche occidentali, ne imparò a memoria tanti brani. Romanza, lo colpì particolarmente tanto da suonarla quasi in continuazione. Fu forse la salvezza sua e del padre, perché i talebani che li fermarono, mentre col carretto stavano tornando, a casa, puntarono contro le armi. Videro il violino, cominciarono a discutere animatamente. Nadir, prese lo strumento e suonò.
Rimasero incantati, sembrarono rilassati e sorridenti e li fecero tornare a casa sani e salvi. Come dicevo, raccontò che il padre, appena lui ebbe l’età a rischio di ingaggio obbligato dai talebani o peggio, morte, gli consegnò un po’ di danaro e lo spedì verso l’Europa, verso la Francia ove un cugino gli avrebbe dato ospitalità e lavoro. Il viaggio fu certamente un’Odissea. Confini attraversati con stratagemmi vari. Più volte si trovò in pericolo, ma dentro una specie di zaino imbottito con stracci, teneva lo strumento che gli salvò la vita. Ovvero, la musica glie la salvò. Quella volta che in Iran, all’inizio del viaggio, fu fermato da un gruppo di soldati che non seppe mai quale fazione appartenessero. Sembravano poco agguerriti, ma sempre militari erano. La arma di difesa, la musica. Il violino che lui, lentamente estraeva dalla rozza, ma efficace custodia e cominciava a suonarlo, le dolci, ma strazianti note del magico strumento, affascinavano quei rozzi militari. L’aria attraversata da quelle melodie, apriva loro i cuori e la commozione vinceva la loro diffidenza e dopo aver sentito quelle magiche note, lo salutavano senza fargli del male, anzi gli diedero un po’ di provviste e un ragazzo, giovanissimo, estrasse da un borsone pieno di dollari un rotolo di banconote e in un inglese un po’ scolastico, gli fece capire che a lui non sarebbero serviti perché aveva poche speranze di uscir vivo dalla situazione in cui s’era venuto a trovare. Con parte dell’insperato malloppo Nadir, comprò con altri disperati, un gommone. Traversarono un
braccio di mare che il ragazzo nemmeno ricordò e seppe indicarne il nome. Furono raccolti a poche miglia da una spiaggia della Grecia, da una nave e portati in quel Paese. Trascorse un lungo periodo nel campo di Oinofya, a sessanta chilometri da Atene. La musica, la cara vecchia amica, lo aiutò a trascorrere il tempo in quell’orribile specie di prigione. Il violino suonò nei e perfino nelle notti. Sollevava il morale a se stesso e alla moltitudine di poveretti che vagavano in quell’inferno senza certezze. I visi di coloro che lo ascoltavano, nei pomeriggi o le notti oziose e disperate, trasfigurava, la bellezza della musica alleviava quelle miserie umane sospese nell’incertezza del dove e come sarebbe stato lo sviluppo dei loro domani. Ma lui non si rassegnò, non volle aspettare, fuggì dal campo e in qualche modo, arrivò in un porto, in Albania. Di notte, si legò sotto un camion che imbarcava per l’Italia e arrivò ad Ancona. Si trovò, ben presto a Napoli. Soffrì la fame, poi trovò una misera occupazione al porto; ma i ragazzi della Nigeria che gestivano il lavoro, pur sottopagato, lo minacciarono a lasciare tali lavori ai “fratelli neri”, chiamandolo “culo bianco”. Anche discriminazione razziale dovette subire! Non gli restava che il violino. S’accorse che suonando e appoggiando il suo pakol
in terra, qualche moneta la raggranellava. Ancora una volta, la magia del binomio violino- melodia lo salvò dalla fame. Intanto s’era spostato a Roma. Suonava strade o nelle piazzette caratteristiche della Città Eterna. Poi, si spostò verso la Toscana, in Liguria e il Piemonte; costantemente sulle ali del suono di quella musica e di quel magico violino. Arrivato a Bardonecchia sentiva che la mitica agognata Francia era lì ad un passo. Presto sarebbe di là dalla frontiera e a avrebbe raggiunto Parigi. Era euforico … troppo. Un giorno, giorno dopo un’operazione di polizia ad un controllo, gli imposero il foglio di via perché non credevano fosse un profugo di guerra. La cosa lo terrorizzò. Non poteva tornare, l’avrebbero ucciso certamente, diceva. Nonostante il freddo, la neve, su nei passi e sentieri di confine, volle provare a raggiungere la Francia… ma »! Francesca si ferma. Il lunghissimo racconto ha affascinato Rosina che le chiede: «Ma tutta questa storia te l’ha raccontata lui»?: «Certo, non saprò mai se e quali fossero le verità, ma credo di certo che fosse sincero … quegli occhi neri, bellissimi, non potevano mentire. Come non mentiva la stupenda musica che fluiva da quel magico violino… Senti? Lo senti»? Ascoltano ma sanno bene che non può essere il ragazzo dai bellissimo occhi neri. Il vento continua a portar loro quel suono quasi onirico…si abbracciano e piangono! Qualche giorno prima, su un sentiero, in terra di Francia, un ragazzo fu trovato, morto per il freddo. Rannicchiato sotto uno spuntone di roccia. Si era tolto il giubbone e lo aveva arrotolato attorno le mani. Sapeva che se si fossero congelate, non avrebbe più potuto suonare. L’estremo gesto di protezione, inutile per lui e per le sue preziosissime mani! Abbracciato, teneva un rozzo zaino, con dentro il suo violino!

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