Lettere al Direttore
22 Febbraio 2021

Lettera a quel Teatro, a cui ripenso spesso

di Redazione | 7 min

Caro Teatro ti scrivo,

così mi distraggo un po’. E siccome sei molto lontano, più forte ti scriverò.

Da quando ti hanno chiuso, nessuna grossa novità.

Un anno intero è finito, ormai, e del tuo futuro ancora non si sa.

Vorrei condividere un sentimento che da tempo ha preso forma e che forse molti altri cittadini di Ferrara possono comprendere, sentendolo allo stesso modo.

Nostalgia. Di un Teatro che ho conosciuto, vissuto da spettatrice e per alcune piccole e felici collaborazioni. Accolta e affiancata da un Direttore di rara sensibilità, sguardo raffinato, preparato, attento, che fra il luogo che dirigeva e la città che lo circondava ha saputo tessere fili di senso.

Penso a quel Teatro che ha scritto pagine mai autoreferenziali e si è aperto a più parti cittadine, espressioni di cultura, educazione, società. Penso ai tanti percorsi con le scuole di ogni ordine e grado, al suo rapporto con le biblioteche, alle innumerevoli iniziative ospitate nella sala del Ridotto, conferenze, concerti, workshop. Le sue tre sale prova sempre abitate da musicisti, attori, danzatori, impegnati nel necessario allenamento sulle proprie creazioni. Atleti dell’anima, come qualcuno li ha definiti.

Quel Teatro, a cui oggi ripenso spesso, era un luogo vivo.

Gli incontri con le compagnie, aperti al pubblico che voleva un più stretto contatto con gli artisti. Le iniziative con il Meis, con il Palazzo dei Diamanti e altri musei della città. Una programmazione di eventi e progetti così capillare che in certi momenti dell’anno pensavo alla città come ad un teatro diffuso, con palchi ovunque. Le proiezioni di film gratuite. Le stagioni di Prosa, Danza, Teatro Ragazzi, Musica, Lirica. Proposte per ogni gusto, da quello più tradizionale a quello più curioso. Le domeniche teatrali per le famiglie, alla Sala Boldini. Le tantissime mostre.

Quel Teatro a cui ripenso spesso non era solo un teatro. Era un luogo di cultura, e di vita culturale che diramava anche fuori da sé.

Coloro che ne sono stati il cuore pulsante – il suo Direttore e tutto lo staff di amministrativi, tecnici, organizzatori – hanno saputo stare nell’umiltà dell’ombra o dietro la semplice eleganza di un sorriso. Stare dietro le quinte, in loro, non l’ho mai visto solo come una professione, ma uno stile. Tra loro accomunati, forse, da un’idea di luogo teatrale dove il sacro spazio della scena appartiene solo all’ospite accolto: quel corpo unico che diventano, una volta insieme, l’artista e il suo pubblico.

Penso spesso a quel Teatro che ha saputo percorrere anche strade non scontate. Sapendo, in quelle occasioni, di non condurre il pubblico ad un apprezzamento facile ma ad un affaccio su mondi altri. Sfide per la percezione, per il pensiero convenzionale, per le nostre contraddizioni. E a cos’altro dovrebbe servire, l’arte?

In quel Teatro ho visto scintille di intuizioni lungimiranti, come le varie edizioni di Fuori Strada, il festival della giovane danza d’autore per i coreografi emergenti. Solo un esempio, fra i molti, della chiarezza che quel Teatro aveva riguardo al proprio ruolo, come luogo e come istituzione pubblica, verso le future generazioni e nei confronti delle arti performative: accoglierle e agevolarne il cammino, l’espressione, la prova di sé.

Per dodici anni ho ricevuto la collaborazione di quel Teatro al progetto La Società a Teatro, una delle esperienze più nutrienti che ho avuto la gioia di coordinare in questa città, nata in seno agli allora progetti di rete di Agire Sociale, nel 2007. Una collaborazione coraggiosa e per nulla scontata da parte di un’istituzione teatrale. Insieme, nel programma LST abbiamo portato al pubblico lavori preziosi come poesie, fra teatro e riflessioni sul sociale. Nella bella installazione fotografica di Marco Caselli Nirmal che orna l’ovale di Rotonda Foschini e i portici di Via Martiri della Libertà, un paio di scatti tornano a raccontarmi del tanto lavoro fatto insieme in quel progetto, dove i confini di Teatro e Sociale perdevano senso e guadagnavano un unico spazio comune in cui incontrarsi ed esprimere semplicemente arte.

Andando indietro negli anni ritrovo i Focus coreografici, e i Percorsi nel teatro, programmazioni parallele alle stagioni istituzionali che a noi spettatori ampliavano ulteriormente lo sguardo, con lavori che maturavano fuori dai codici scenici più comuni e ci educavano ad esperienze teatrali distanti dai paradigmi formali consolidati. E poi Su il sipario, interventi teatrali organizzati all’interno del reparto pediatrico di Cona.

Con questo sentimento di nostalgia vorrei salutarli tutti: Marino, Bruna, Marinella, Anna, Paola P., Paola, Mirko, Gloria, Federica, Cristina, Irene, Morena, Andrea, Marco, Cristiano, Marcello, Amir e tutti i tecnici, le maschere. Professionisti consapevoli del legame stretto che dovrebbe sempre esserci fra un teatro e la sua città, e fra una città e il suo teatro. Con loro, quel Teatro ha portato in questa città altissime personalità artistiche, che hanno conosciuto noi ferraresi attraverso la garbata accoglienza ricevuta in quel preciso luogo. Pina Bausch, Sasha Waltz, Batsheva Dance Company, Dada Masilo, Alain Platel, Balletto di Toscana, Opera di Roma, Saburo Teshigawara, Wim Vandekeybus, Compagnia Virgilio Sieni, Hubbart Street Dance Chicago, Les Slovakcs Dance Company, La La La Human Steps, Aterballetto, Ailey II, Accademia Teatro della Scala, Balletto di Toscana, Ballet Contemporain d’Alger, Eimuntas Nekrosius, Lutz Forster, Bill T. Jones / Arnie Zane Dance Company, solo per ricordare alcuni, pochissimi, grandi nomi che hanno attraversato le stagioni della Danza. Ha ospitato personalità internazionali della letteratura e della drammaturgia come David Grossman e Abraham Yeoshua. E per passare alla Prosa: Alessandro Gassman, Toni Servillo, Pierfrancesco Favino, Massimo Popolizio, Giulio Scarpati, Luca Zingaretti, Isabella Ferrari,  Alessandro Preziosi, Alessio Boni, Fabrizio Gifuni, Marco Baliani, Silvio Orlando, Ascanio Celestini, Tindaro Granata, Lino Guanciale, Laura Marinoni, Marco Paolini, Stefano Accorsi, Umberto Orsini, Elio De Capitani, Massimo De Francovich, Luca Ronconi, Marco Martinelli ed Ermanna Montanari, Iaia Forte, Valeria Solarino, Ennio Fantastichini, Luca De Filippo, è un altro elenco di nomi difettoso, perché cita solo alcuni fra i più riconoscibili che abbiamo visto su quel palco. E al contempo fa anche torto ai tantissimi e meno conosciuti attori e attrici del nostro teatro italiano, che su quel palco ci sono stati, al fianco dei big. Una costellazione di professionisti preparati la cui minor popolarità non è quasi mai la misura del loro talento, ma dei pochi o nulli passaggi per le vie amplificatrici del cinema o della televisione. Chi ama davvero l’arte del teatro la ama al di là della popolarità del suo nome. Chi ama il teatro come arte, ne segue le tracce indipendentemente da chi c’è sul palcoscenico.

Oggi è così che ripenso al teatro, della nostra e di tutte le città: un luogo di lavoro. Prima che a noi pubblico, attendo che i teatri riaprano i propri spazi di lavoro agli artisti. Perché gli artisti possano riprendere a praticare il proprio lavoro in quello che per loro è il posto elettivo per farlo. Per noi spettatori non è ancora il tempo. Ma dovrebbe riprendere il tempo di un teatro aperto per chi il teatro lo fa, lo studia, lo prepara, lo prova. Se non si riconsegna il teatro come luogo di lavoro sicuro ai suoi lavoratori, anche noi spettatori perderemo molto, perché ad aspettarci al fondo di questo viaggio al termine della notte non ci sarà nulla. I teatri sono luoghi di cui un animo, se umano, ha bisogno come un corpo di nutrirsi. E nutrirsi non è un lusso.

Per curarmi da questa nostalgia mi dico che Ferrara, in fondo, non è che un sussulto di mondo. Uno scampolo di pianeta. Ma forse, quando in un luogo ci si vive, ciò che in esso accade non può non sembrare immensamente importante, entusiasmante o avvilente che sia. Non può non obbligare all’attenzione. La stessa pratica mentale che richiede la scena per chi, come me, l’ha praticata almeno un po’: costante vigilanza.

Caro Teatro, amico lontano, questa lettera non è un confronto fra Prima ed Oggi, ormai ere inconfrontabili, perché Oggi è in tutto diverso e lontano dalle condizioni anche solo di un anno e mezzo fa. Ma un dovuto atto di nostalgia e gratitudine per quello che il Teatro Comunale di Ferrara ha rappresentato per me come persona e come cittadina di Ferrara. Di condivisione con le tante persone che sanno di cosa sto parlando, e con quelle che non lo sanno. Con coscienza vigile, in attesa del nuovo che verrà, attendo. E tengo stretto il calore di questa nostalgia, con gratitudine per il tanto lavoro fatto e la funzione svolta da quel Teatro nei confronti della nostra comunità, spesso evitando percorsi preconfezionati e valorizzando traiettorie costruite insieme ad altri sguardi, nella pratica dell’ascolto e della relazione.

Quel Teatro, a cui ripenso spesso.

Agnese Di Martino

Coordinamento organizzativo LA SOCIETA’ A TEATRO

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