Cronaca
13 Ottobre 2017
Primi testimoni nel processo per "stalking di quartiere" contro Carlo Dedoni e la moglie Virginia Cerasi

Animali appesi e sgozzati, minacce e oscenità. Scene da film horror in via Rambaldi

di Daniele Oppo | 5 min

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I coniugi Dedoni e Cerasi

Un incubo. Scene da film horror. È difficile spiegare altrimenti la disavventura degli abitanti di via Rambaldi, vittime delle angherie di Carlo Dedoni, della moglie Virginia Cerasi e del loro figlio, raccontate in tribunale.

Nel processo per “stalking di quartiere” – come lo ha definito l’avvocato delle parti civili, Patrizia Micai – contro la coppia sono infatti iniziate le testimonianze dei vicini (costituiti parti civili), la prima, la più cruda, quella di Cristiana Vici, che insieme al marito, il generale dell’esercito Antonio Faedda, ha sporto varie denunce nel tempo contro Dedoni e Cerasi (difesi dagli avvocati Gianluca Filippone e Riccardo Ziosi).

Molto più che una casa degli orrori. Il racconto della signora Vici è quello delle minacce e delle ingiurie subite da lei e da altri vicini, ma non solo: animali sgozzati e lasciati dissanguare appesi, mentre il figlio della coppia li usava come sacchi da pugilato. Fuochi accesi dentro vecchi barili, alimentati con mobili vecchi. La puzza della decomposizione delle carcasse, topi e ratti giganti attirati dalle carogne che infestano le case del vicinato. E poi loro, Carlo Dedoni e Virginia Cerasi, che non vogliono intromissioni da parte di chi è costretto a subire le loro attività di allevamento e macellazione decisamente fuori da ogni canone di legalità, e che minacciano, insultano, si danno a esibizioni oscene di nudismo e atti sessuali e – come purtroppo può testimoniare il signor Gian Roberto Luzi – colpiscono con violenza.

Il processo è relativo a fatti commessi tra la fine del 2015 e gennaio del 2017, ma gli antefatti stanno molti anni più indietro, quando Dedoni era già un problema del vicinato. La signora Vici vive i primi anni da sola nella sua nuova casa, mentre il marito è ancora in servizio in Toscana, e ha la sfortuna di avere il terrazzo che si affaccia sul cortile della famiglia Dedoni. «C’era un fuoco perenne dentro una vecchia botte di petrolio – racconta -, gli animali venivano sgozzati davanti al terrazzo: galline, ochee, conigli che venivano appesi e presi a pugni. Alla macellazione partecipavano marito, moglie e il figlio minore, che poi usava i corpi come sacchi da boxe. C’erano topi enormi ovunque». Fu proprio lei – recependo anche l’esasperazione di un’altra famiglia, a muoversi per prima, scrivendo al tribunale dei minori e poi alle guardie zoofile che «avevano imposto la pulizia dell’area». Dedoni, convinto fosse colpa di un’altra vicina, «è uscito con un coltello da macellaio, si è seduto su un ceppo di legno e ha detto che voleva cavarle gli occhi e mangiargli il cuore, che la legge era lui e non gli avrebbero fatto nulla».

Dedoni litigava in modo molto disturbante anche con la moglie, «le urlava “ti ammazzo”, “pachiderma di m..”», appellandola con altre parole poco rispettose e non riportabili.

Venne infine chiamato anche il servizio veterinario, che impose a Dedoni di smantellare allevamento e macello estemporaneo. L’uomo in qualche modo riuscì a fare un accesso agli atti, scoprendo che la signora Vici aveva scritto anche al sindaco (e non solo, senza ricevere però risposte) per lamentarsi della situazione. A quel punto iniziò a prendersela con lei, «ha preso due pentole e ha fatto rumore, diceva “vieni fuori, puttana”, poi ha preso una gallina l’ha uccisa sbattendola contro un angolo della casa, mi ha detto “i polli torneranno ma lei morirà”». Quando doveva disfarsi degli animali, un’altra vicina vide in che condizioni erano le galline caricate nel bagagliaio dell’automobile e rinchiuse in una gabbia. Decise di fotografarle e venne aggredita: «Dedoni è uscito dal cortile, l’ha immobilizzata contro il cancello e la moglie l’ha massacrata di botte. Se non fosse intervenuta un’altra signora l’avrebbe ammazzata. Io da quel giorno non ho più vissuto».

Non basta, perché l’incubo prende anche altre forme. «Lui si tirava fuori i genitali – racconta ancora la signora Vici -, mi mandava baci, carezze e poi mi insultava, mi mostrava il sedere. Diceva sempre che mi voleva mangiare. Mimava il taglio della gola e mi diceva “morirai”». La moglie non era da meno: un giorno – stando al racconto – uscì con un manico di legno culminane con un punteruolo metallico e disse alla donna «se vieni giù le spacco la testa, così vede se fa male questo punteruolo». Lo diceva con voce in falsetto, mentre «il figlio diceva “mamma sei bravissima, uccidi quella puttana”».

I signori Vici-Faedda costruirono anche una veranda nel balcone per poter evitare lo spettacolo offerto dai Dedoni. Vennero denunciati perché abusiva e quando la fecero smontare da degli operai «Dedoni si è denudato, si è masturbato, ha urinato» e insultato pesantemente la signora Vici e il marito. Mentre lui si masturbava la moglie «diceva che “gli uomini del quartiere sono senza palle”, invitando marito e figlio a mostrare gli attributi».

Il figlio, non imputato, «tornato da Londra ci minacciava dicendo Allah Akbar e che “a Londra mi hanno istruito bene”».

Un incubo finito – o, almeno, attenuato – con l’arresto di Dedoni (oggi ai domiciliari e col divieto di uscire di casa se non per recarsi a lavorare) dopo che massacrò il signor Luzi. «Da allora abbiamo ricominciato a vivere, siamo rinati», ha detto la testimone, che nel frattempo si è però ammalata per il forte stress.

Sentita infine una psicologa dell’Ausl che ha parlato dell’avvio e del fallimento immediato di un percorso assistenza sanitaria obbligatori con la coppia, con la quale era molto difficile rapportarsi in maniera civile, dopo le segnalazioni provenienti da diverse autorità pubbliche.

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