Attualità
6 Ottobre 2017
Intitolata a suor Veronica la piazzetta antistante la chiesa di Santa Chiara

La santa ferrarese ‘torna’ nella sua città

di Redazione | 2 min

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di Cecilia Gallotta

A Ferrara ci nacque nel 1896, e le mura di quel monastero, oggi chiesa di Santa Chiara, furono teatro della sua vita, interconnessa con le più fori vicende che toccarono la storia della città.

E’ a suor Veronica, al secolo Maria Cesira Pazzafini, che nel pomeriggio di ieri – 5 ottobre – è stata intitolata la piazzetta antistante la chiesa di corso Giovecca, davanti al sindaco Tagliani, al prefetto Michele Tortora e all’arcivescovo monsignor Gian Carlo Perego.

Fu proprio nel 1896 che i salesiani cominciarono la loro attività in via Bresavola, come ripercorre il direttore dell’archivio storico comunale Francesco Scafuri. A neppure 9 anni, l’ormai orfana Cesira pativa l’epoca della fame e delle scarse condizioni di salute, prima di entrare nel Conservatorio della provvidenza, dove conobbe le sue prime maestre.

Allo scoppio della prima guerra mondiale Cesira sarebbe diventata per sempre suor Veronica, vivendo di pari passo con le grandi tappe che percorrono le pagine della nostra storia: dagli scontri politici della corrente liberale contrapposta al socialismo, alla sconfitta di Caporetto del ‘17, “che portò più di 7 mila profughi di guerra in una città – Ferrara – che all’epoca ammontava a poco più di 102 mila abitanti”.

Ma la vita di suor Veronica sembra sfondare i muri che la separano fisicamente dal resto del mondo, tanto che persino padre Pio, suo contemporaneo, si dice ammonì un gruppo di fedeli ferraresi, venuti da lui per chissà quale grazia, chiedendo loro “cosa ci facessero lì quando a Ferrara abbiamo una santa”.

“Un riconoscimento – afferma padre Daniele Libanori – in una città non larga di elogi e non troppo incline alle smancerie, che pure rinnova un affetto storico dei ferraresi a questa figura. E chi crede non può non vedere – prosegue Scafuri – come accanto ai tragici eventi si siano affiancati momenti di ricchezza, che vanno dalla solidarietà nei momenti di guerra al lascito artistico (basti pensare a De Chirico e Carrà). Quasi che le sofferenze di una semplice e umile religiosa, non abbiano soltanto portato un esempio di nobiltà interiore, ma si siano in qualche modo riverberate anche all’esterno”.

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