Attualità
30 Settembre 2017
Erri De Luca e Mauro Corona presentano il libro di Di Stefani

Mani che asciugano lacrime

di Marco Zavagli | 3 min

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Mani che lavorano, mani che scalano, mani che afferrano chi è in difficoltà. “Mani” è il libro fotografico di Fausto De Stefani, fotografo e alpinista che ha scalato tutti i 14 ottomila e ha realizzato un grande complesso scolastico in Nepal. Il libro, alla terza edizione, contiene una serie nuova di fotografie che De Stefani ha realizzato in questi ultimi anni. Il progetto, edito da Montura, vuole creare, accanto alla scuola, una struttura sportiva per gli alunni.

Un libro di mani per dare una mano. D’altronde le mani sono uno dei fili conduttori che raccolgono i tre protagonisti della presentazione, avvenuta a Palazzo Crema nell’ambito del Festival di Internazionale a Ferrara. Come le mani che hanno accompagnato l’infanzia dell’autore, quelle “rovinate dal lavoro dei campi – ricorda De Stefani -, che la facevano vergognare quando usciva di casa”, o del padre, “mani molto forti addosso a un fisico esile, quasi una deformità”, o quelle di Mandelo, “il più grande viaggiatore che ci fosse stato”.

Mandelo era un clochard che ogni tanto si fermava nel paese di De Stefani e che “ci ha fatto sognare come nessun altro da bambini. Quei quattro giorni in cui si fermava sapevo che avrei viaggiato nei luoghi più lontani, sopra le cime più alte. E poco importa se da grande ho capito che con quella sua bici sgangherata non era mai stato a più di dieci chilometri di distanza. I suoi racconti dell’Himalaya mi hanno lasciato tante emozioni. Le mani parlano molto meglio degli occhi e delle parole”.

Di mani è ricca l’infanzia anche di Mauro Corona, quando un tempo “gli intellettuali di allora erano analfabeti, ma conoscevano le stagioni, la luna, le storie. Insegnavano a usare le mani, oggi non ci facciamo neanche più carezze. Si fa l’amore su internet”. Eppure le mani possono avere rimorsi. “Come le mie: una volta mio padre ha cercato di accoltellarmi, e nella mano ho il segno di quella difesa. Io lo colpii con un destro che gli fece fare la rampa delle scale. Bisogna fare attenzione. Le mani quando partono non tornano indietro”.

Le mani hanno rimorsi e per questo anche un’anima, “quella che lasciano sull’attrezzo. Di Michelangelo vorrei il mazzuolo, di Borges il bastone, di Pessoa gli occhiali…”.

Per Erri De Luca, che scrive l’introduzione al libro, “le mani sono il posto che racconta chi siamo, la nostra carta d’identità. mi dispiace che lascino impronte, che quelle impronte servano poi per fare indagini. Perché in realtà le mani le ricevono le impronte, quelle delle armi o degli arnesi usati, le carezze”. E meritano gratitudine. “Un poeta del 1900, Dylan Thomas, scrive un atto di accusa contro le mani che con una firma cancellano una città, impongono una tassa sul respiro. E conclude con le mani non versano lacrime. Io ho corretto quest’ultimo verso: non versano lacrime, però possono asciugarle”.

Ma il fatto di scrivere “al meglio delle mie possibilità” non esaurisce la funzione di cittadino. “Cerco di impicciarmi di tante cose – prosegue De Luca -. A Napoli vige il detto “fatti i fatti tuoi”. E tutto quello che mi succede intorno sono fatti miei: una linea ferroviaria in val di Susa, il taglio di ulivi sanissimi, i flussi migratori”.

Questo il tema sul quale si è impicciato di più, visto che “a questo povero mare Mediterraneo non è mai capitato in tutta la sua carriera di essere una platea di tanti naufragi”. E di tutti i naufragi “il nostro tempo si è specializzato in quelli a mare calmo. Con gli ultimi provvedimenti di ordine pubblico e gli ultimi quattrini regalati a trafficanti spacciati per autorità locali, abbiamo sgominato il soccorso dal mare. Ora capita che una nave rimasta senza carburante vada alla deriva per una settimana fino alla sua fine predestinata. E se un mercantile la intercetta, il radar serve per avvistare ma anche per evitare, cambia rotta”.

Ecco perché “dare una mano è quasi niente. Molto di più di questo si può fare”.

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